Dario, un democristiano al timone per l’ultimo viaggio

Un esercito dimezzato si è presentato all'ultima spiaggia del Pd e ha scelto Dario Franceschini come capitano della nave al suo ultimo viaggio. I grandi numeri di Veltroni sono stati messi in soffitta e poche centinaia di delegati si sono aggrappati al primo democristiano che dirigerà un partito di sinistra. L'impresa di Franceschini appare disperata. Attorno a lui si è stretta la vecchia nomenklatura dei Ds e della Margherita. Veltroni è stato repentinamente accantonato. Hanno fatto a lui il trattamento-Prodi: elogiato e messo da parte.
Franceschini ha una «mission impossible» davanti a sé. Deve dimostrare che può far risalire il partito da quel misero 23% che gli accreditano i sondaggi. Deve convincere tutti del contrario di tutto. Mi spiego. Deve convincere i veltroniani che è un prosecutore del loro capo, ma deve al tempo stesso prenderne le distanze. Deve rassicurare i dalemiani che il campo si è riaperto e che non saranno risospinti alla periferia del partito. Deve galvanizzare gli ex popolari che con un gruzzolo di voti si trovano a controllare il più forte partito di opposizione. Deve sminare il terreno dalle trappole di Arturo Parisi.
Il discorso di investitura di Franceschini è stato straordinariamente democristiano. Si è liberato di Veltroni parlando di «errori» della stagione precedente, ma dichiarandosi correo. Ha esaltato il partito a vocazione maggioritaria, ma ha parlato di nuove alleanze con l'Udc e quel che resta della sinistra. Ha detto che non confluirà nel Pse ma gli starà accanto. Ha sciolto il governo ombra togliendo quel tocco di ridicolo che c'era nella gestione del predecessore.
Il vero obiettivo di Franceschini è la riduzione del danno. Gli basterà che le elezioni europee vadano male ma non malissimo, che qualche sindaco resti al suo posto, che le correnti si ritengano soddisfatte di fare e disfare a piacimento per dire che il compito è stato onorato. Franceschini vuole arrivare ad ottobre in sella. Quando dice che non si ripresenterà alle primarie non è sincero. Probabilmente spera che la nomenklatura lo rimetta in gara facendo rinunciare gli altri per fare primarie mignon. In questi mesi il suo vero nemico sarà l'asse fra i veltroniani e i prodiani che minacciano di mobilitare il vecchio popolo ulivista. Gli altri capi staranno a vedere. Non è più tempo di grandi progetti. Si tornerà al «primum vivere». Probabilmente non saranno della partita i rutelliani che già hanno allacciato rapporti proficui con l'Udc, se ne andranno i teodem che sono delusi dai discorsi da «cattolico adulto» di Franceschini, si sacrificheranno nell'ultima eroica battaglia gli uomini di Prodi.
Il Pd di Franceschini è l'approdo naturale della Bolognina di Achille Occhetto. C'era da fare una svolta radicale che sancisse la rottura della vecchia sinistra e si scelse invece la sopravvivenza furbesca. Di partito in partito si è giunti all'unica soluzione vagheggiata: un partito di sinistra diretto da un democristiano doc. Anche per gli ex popolari la soluzione Franceschini può rivelarsi un regalo del destino. Piuttosto che fare partitini dc piccoli-piccoli è molto meglio mettersi a capo dei reduci dell'Emilia rossa.
Che possibilità ha questo accrocco di stare in piedi? Onestamente nessuno. Lo spirito di sopravvivenza dello zoccolo duro della sinistra garantirà persino a Francheschini un suffragio che consenta a lui e al popolo della sinistra di esistere. Ma il fenomeno più rilevante, un vero terremoto politico, sarà quello della scissione silenziosa. Gli oltre mille delegati che ieri non si sono presentati alla Nuova Fiera di Roma rappresentano l'avanguardia di un esercito che ha rotto antiche discipline e che è tornato nelle proprie case o sta cercando altre patrie.
Sulla scena politica nazionale comparirà con Franceschini un partito fieramente anti-berlusconiano incapace di fronteggiare i difficili tornanti della crisi. La gestione Franceschini sarà tutta rivolta all'interno, alle correnti e alla pancia del partito, con un asfissiante «quieta non movere» appena contrastato da scatti di orgoglio e da sussulti di opposizione dura. In questo mare reso opaco dalle alghe galleggerà Di Pietro che attirerà elettori e militanti. Potrebbe persino risorgere la sinistra radicale, non solo quella con la falce e il martello.

Pur non essendo socialista, sta capitando al Pd lo stesso tragico destino che affligge le socialdemocrazie europee e il labour israeliano. E sarà un democristiano verace a guidare il vascello nell'ultimo viaggio verso l'irrilevanza politica.

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