Davydenko, il brutto anatroccolo che spaventa Federer e Nadal

E adesso non parliamo più di lui come del brutto anatroccolo che si aggira nel palazzo del tennis mondiale senza riuscire a mettere piede nei piani alti. Altro che intruso. A 28 anni e mezzo Nikolay Davydenko mette paura a tutti con il suo gioco potente, solido, regolare, fatto di anticipi sorprendenti e di assoluto sacrificio. Nel 2009 aveva conquistato cinque tornei, fra cui il Masters di Londra. L’altro giorno ha proseguito la serie a Doha, in Qatar, battendo Rafa Nadal in una finale persa più volte: pronti via ha subito sette games di fila, poi ha annullato due match-ball nel tie-break del secondo set, infine s’è trovato sotto 1-3 e 15-40 nel set decisivo. Altri avrebbero alzato bandiera bianca. Lui no. E il risultato l’ha premiato: 0-6, 7-6, 6-3. Agli Open d’Australia, in programma dal 18 gennaio a Melbourne, partirà per vincere il suo primo Grande Slam dopo aver collezionato 20 successi in 25 finali: numeri da record. Nella storia di questo sport solo in 38 sono arrivati a tanto.
Ahinoi non è italiano, ma russo di origini ucraine. E poco conta che sia bruttino, pelato, piccolo, di scarne parole. O che non abbia il fascino di Federer, la bellezza di Nadal, la possenza di Del Potro. Se c’è da tirare forte, sempre più forte, arrivare su ogni pallina e compiere gesti estremi, Nikolay non si tira mai indietro. E chissenefrega, lo ammette lui stesso, se non è un divo, non solletica i gusti delle ragazzine, non entra nel gossip. L’anti personaggio per antonomasia. Per anni non ha avuto uno sponsor tecnico. Più volte ha dovuto mostrare il pass per farsi riconoscere all’ingresso degli impianti.
Ma quel che conta sono i risultati. E Davydenko, che nel 2006 era stato per qualche tempo numero 3, ha ripreso a togliersi soddisfazioni clamorose, nessun distinguo fra terra rossa o cemento, impianti indoor o outdoor, mai un lamento o una contestazione con l’arbitro di turno. È diventato la bestia nera di Nadal, dall’aprile 2008 a oggi l’ha fatto piangere in tre finali (Miami, Shanghai e appunto Doha) oltre che nel gironcino del Masters. Con gli altri spagnoli, che pure si divertono a fare il tergicristallo da una parte all’altra del campo, va a nozze: ne sanno qualcosa Robredo, Ferrero e Verdasco. Ma non è da meno neppure con sua maestà Federer, fatto fuori negli ultimi due incroci, l’ultimo proprio nella semifinale in Qatar.
Nel 2007 aveva dovuto difendersi dall’accusa di aver combinato e perso l’incontro con Martin Vassallo Arguello al torneo di Sopot, in Polonia. Fra i due, 84 posti di differenza nel ranking mondiale. Il bookmaker Betfair aveva annullato le puntate sul successo dell’argentino, oltre 10 milioni di euro, una somma pazzesca, aperto un’indagine e avvisato i responsabili dell’Atp. Si parlò di una manovra della mafia russa. Davydenko si difese dicendo che a lui di quel torneo in Polonia non importava nulla: «Avevo male a un piede, non potevo compromettere gli Us Open per andare avanti in una manifestazione di minore importanza. Non so nulla della mafia russa, da oltre 15 anni vivo in Germania».
Acqua passata. Ma quanta strada ha fatto Nikolay dal giorno in cui decise di imboccare la strada del professionismo. E quanti sacrifici ha affrontato all’inizio della carriera con il fratello Eduard, da sempre suo manager, per risparmiare sui viaggi, gli alberghi, i pranzi.

Adesso che ha messo da parte una discreta fortuna, si concede qualche lusso in più, poca cosa rispetto allo stile di vita di altri giocatori. «Non posso distrarmi un attimo, devo lavorare e lavorare ancora se voglio conquistare un Grande Slam. Io non ho il talento di Federer. Roger è divino. Io sono solo Nikolay. Ma Nikolay non molla mai una pallina».

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