De Magistris, il pm dei flop che ora si sente Masaniello

RomaQuando uno dice: arrivare nudo alla meta. È il caso del Pd napoletano, già spoglio di ogni orpello ideologico e, nel corso dell’incontrastato dominio decennale, denudatosi via via di ogni remora. Quisquilie, come il rapporto con la gente. O con la morale. Da oggi, con la politica.
Ma è anche il caso di Antonio Di Pietro che, nel giorno in cui deve celebrare il successo forse più consistente della sua parabola, comincia a vedere con altri occhi l’uomo cui deve questa consacrazione. E in quello stesso sguardo, con orrore, scorge il segno della fine. O, almeno, del ridimensionamento.
Luigi De Magistris, 44 anni, per quindici magistrato («la mia missione», diceva; «Giggino ’o flop», lo chiamavano gli altri), è l’uomo che ha compiuto questo doppio miracolo. Ha minato nelle fondamenta il quartier generale più impenetrabile della scena politica, quello dell’Idv dipietrista. E messo la pietra tombale sul cadavere già putrefatto del Pd campano, immediatamente salito sul carro del vincitore. Ieri il segretario Bersani ha dovuto prenderne atto: «Lavoriamo per la vittoria di De Magistris», ha detto, dopo che l’ala destra piddina, Marco Follini e Beppe Fioroni, avevano ammesso che «è inevitabile l’appoggio a De Magistris», che il dalemiano Latorre gli si è aggrappato come una cozza («concentriamoci su di lui»), che Vendola ha ammesso l’errore di non averci creduto fino in fondo. Ma, da ora, «pancia a terra con De Magistris». Un terremoto. Un Masaniello turnato. Un treno che corre, sul quale tutti cercano di salire, ma che nessuno sa dove sia diretto. «Arrevutammo Napule», il grido di battaglia dell’ex Pm negli oltre venti comizi, le centinaia di incontri. E la pervicace determinazione a non essere risucchiato nella vecchia politica, nei giochi di potere tra i partiti e tra i capatàz, tradotta in un linguaggio che non può non avere facile presa sui napoletani esasperati. Non risparmia botte a destra e a manca: bastava vederlo in tivù, mentre il Pd gli faceva le fusa, e lui imperturbabile: «Non voglio apparentamenti formali, vado per la mia strada, è la gente che vota e voterà per me».
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, mai versi furono più vicini a quello che provano nel loro intimo Di Pietro e il Pd napoletano. In fondo Nemesi ineluttabile, dato che De Magistris è anche l’uomo che staccò la spina al «poeta morente» (copyright Bertinotti), ultimo governo Prodi. E c’è un senso profondo, in questa apparente casualità. Perché l’ex pm, che con le sue contestate inchieste mandò al manicomio sia Prodi che Mastella («se va al ballottaggio mi suicido», ha detto ancora pochi giorni fa Mastella) è anche un personaggio nato e cresciuto nel corto circuito di questa sinistra confusa e incapace di sfuggire ai suoi fantasmi. Una specie di «mostro Frankenstein» fatto di spezzoni ideologici (o puramente tattici) che la sinistra aveva sotterrato - o pensato di sfruttare per poi subito sotterrare.
Vomerese di nascita (è il quartiere della media borghesia napoletana), discendente di magistrati (un bisnonno fu oggetto di attentato per aver perseguito il malaffare nei primi anni dell’Unità d’Italia, recitano le biografie), Luigi incontra la politica già in famiglia, ma ne viene avvinto al liceo classico «Adolfo Pansini» di piazza Quattro Giornate, nato nel 1972 e non per caso intitolato proprio a un protagonista di quell’eroica azione degli scugnizzi contro i nazisti. Un liceo iperpoliticizzato, nonostante siano già anni del «riflusso». La carriera di Luigi è quella tipica del ragazzo che «potrebbe fare di più». Ma quando s’impegna ce la fa, e si diploma con 51 su 60.
Pur votando per la prima volta alle Politiche nel 1987, il giovane De Magistris sceglie il Pci in crisi identitaria di quegli anni. Berlinguer è morto nell’84, ma Luigi cresce nel suo mito, specie in quello della sua ultima intuizione programmatica, la cosiddetta «questione morale». Matura dentro di sé la scelta di stare con i «buoni» e gli «onesti», anzi, di più. Di perseguirli. Diventa magistrato nel 1995, ma delle sue gesta da Pm, fin troppo celebri e celebrate nelle cronache (specie televisive), resta pochino. Mi hanno bloccato, dice lui. Non aveva in mano che supposizioni preconcette, dicono i nemici.
Quando nel 2009 butta alle ortiche la toga, anche per difendersi dall’inchiesta scagliatogli contro dall’ex guardasigilli Mastella, De Magistris ha già pronto il «piano B», l’ingresso in politica.

Complici la sua poltrona fissa nello studio di Santoro e l’inevitabile incontro con il suo fratello-coltello Antonio Di Pietro. I due non si amano, si scontrano, ma sono costretti a convivere. La star in erba ora forse è sul punto di sbocciare. Per Di Pietro e il Pd, non è più «bere o affogare». Ma bere e affogare.

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