Dida, ultima chiamata per la porta maledetta

L'allenatore Ancelotti non cambia. Ma da domani per il portire del Milan ogni tiro sarà un esame

Dida, ultima chiamata per la porta maledetta

Deve avere l’istinto del kamikaze o il tic del conservatore. Di sicuro Carlo Ancelotti è uno dei pochissimi, nel pianeta Milan, non sfiorati dal dubbio di mettere in un cantuccio Nelson Dida, il «didastro» del derby e di tante altre perfomances sciagurate, per puntare con decisione su Zeljko Kalac, il croato-australiano, numero due ufficiale della lista rossonera. L’allenatore del Milan, reduce dalla visione del film di Banfi, si rende conto dei rischi assunti, ammette in privato che la reazione del brasiliano non è delle più promettenti dinanzi alle feroci critiche, ma col Napoli è deciso a non cambiare cavallo. Da allenatore lo fece solo una volta e in una circostanza speciale: l’episodio accadde ai tempi del Parma quando si ritrovò con Bucci titolare e dietro le quinte un ragazzino di 17 anni e mezzo definito da tutti un fuoriclasse, un fenomeno della natura. Quel ragazzino un po’ guascone aveva un cognome pesante sulla spalle, Buffon, ma non se ne lasciò contagiare. A tal punto che una volta entrato non uscì più dalla porta del Parma.
In carriera, l’Ancelotti allenatore fu dinanzi al bivio anche ai tempi della Juventus di Zidane e Inzaghi: cambiare o affondare con l’olandese volante? Avvenne, per la storia, ai margini di un Juve-Lazio: Van der Sar stordito mise a dura prova la fiducia della Juve. All’intervallo Ancelotti interpellò Rampulla che declinò l’invito in modo indiretto. «Meglio se resta lui» rispose. E Ancelotti capì l’antifona, confermò Van der Sar fino a farsi raggiungere in testa alla classifica dalla Roma di Capello e Nakata, perdendo per strada uno scudetto (9 punti di vantaggio) che sembrava già vinto.
In materia di portieri, allora, Ancelotti è un conservatore sfacciato. Ai tempi della Nazionale, come assistente di Arrigo Sacchi, votò per Marchegiani prima che il portiere laziale, oggi commentatore di Sky, si lasciasse eliminare dai due sfondoni commessi nella prima partita di qualificazione contro la Svizzera. Quando arrivò Pagliuca gli azzurri volarono verso Usa ’94. A Reggio Emilia, al debutto da responsabile unico, non ebbe bisogno di scelte coraggiose. «Avevo un fior di portiere, Ballotta: era anziano già allora» la battuta. Di fatto le prodezze del portiere gli consentirono di guadagnare sul campo la prima promozione. Poi Parma e Juve, quindi arrivò al Milan dove ereditò Abbiati ma poi gli preferì, a sorpresa, Dida. Adesso che la rincorsa al quarto posto sembra diventata l’emergenza assoluta, pare solo sfiorato dall’idea del ribaltone. Tutti vogliono Kalac, critici e tifosi, anche qualche collaboratore di Ancelotti, per non citare i sodali di Nelson che non ne possono più di certe coltellate alla schiena: tutti tranne Ancelotti, che resiste sulle barricate. «Fino al prossimo errore» sentenziò in Dubai nella speranza di procurargli un utile scossone.

E invece niente. Dida non reagisce ma neanche Kalac sale ed è questo il vero ostacolo al cambiamento. A meno che la visione di Oronzo Canà non l’abbia ispirato e domenica sera, contro il Napoli, spiazzi tutti, Kalac compreso.

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