Il sacrificio di dieci monache di clausura in cambio della guarigione del vescovo. Accadeva poco più di cinquant'anni fa in Sicilia. Ruota attorno a questa sconvolgente rivelazione il nuovo libro di Andrea Camilleri (Le pecore e il pastore, Sellerio, pagg. 127, euro 10)uscito ieri. E già si scatenano le polemiche. La Curia di Agrigento ha smentito lo scrittore, bollando la vicenda come «falsa».
La storia raccontata da Camilleri è questa: alle 19,45 del 9 luglio 1945, nel bosco di Santo Stefano di Quisquina, due fucilate feriscono Giovanni Battista Peruzzo, vescovo di Agrigento. Peruzzo fu tra la vita e la morte per una settimana per quell'attentato architettato, probabilmente, dagli sgherri di qualche feudatario arrabbiato col «vescovo dei contadini» che appoggiava la rivendicazione di terre da parte dei poveri coltivatori agrigentini. Anche se l'inchiesta ufficiale attribuì il fattaccio a faide interne al monastero, in un certo periodo popolato da fraticelli, più avvezzi al coltello anziché alla preghiera, che Peruzzo aveva cacciato attirandosi non poche inimicizie. Il processo si concluse con la condanna a pochi anni di carcere di un solo imputato, Onofrio Di Salvo, che confermò la ricostruzione «ufficiale» che l'ispettore generale di pubblica sicurezza aveva servito ai giudici di Sciacca.
Ma torniamo alla storia. Quando si sparse la notizia del ferimento del vescovo, a pochi chilometri di distanza, sempre nella stessa provincia, nel convento di Palma di Montechiaro (edificato dagli avi di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, aristocratici di quelle terre) alcune religiose, oltre che recitare il rosario invocando la salvezza del loro vescovo, progettarono uno sconvolgente patto. «Offrirono a Dio la vita» delle dieci monache più giovani in cambio del pieno ristabilimento di Peruzzo. Le ragazze con la tonaca si lasciarono morire digiunando e il vescovo guarì, ma per lungo tempo restando all'oscuro di quanto avevano fatto le sue pecorelle di Palma.
Una storia fino a ora sconosciuta e di cui Camilleri viene a conoscenza per caso, inciampando in una nota a fondo pagina di un biografia di Peruzzo. Una microscopica notizia riporta una lettera (trovata nell'archivio personale di Peruzzo) dell'allora abbadessa del convento, suor Enrichetta Fanara, che undici anni dopo il ferimento di Peruzzo, il 16 agosto 1956, sente il dovere di confessargli i fatti: «Non sarebbe il caso di dirglielo, ma glielo diciamo per fargli ubbidienza. Quando V. E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore. Il Signore accettò l'offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore».
L'autore del famoso commissario Montalbano racconta che «alla lettura di queste parole, feci letteralmente un salto dalla seggia, provando uno sgomento quasi certamente uguale a quello provato dalla diocesi agrigentina alla notizia dell'attentato». E alla fine, come preso da un senso di sgomento confessa: «Non riesco a tirare nessuna conclusione da questa vicenda, né per me né per i miei lettori». Una nota della Curia di Agrigento spiega invece: «Per capire certe parole come offrire la vita bisogna entrare in una logica cristiana altrimenti si sbaglia il bersaglio.
giancarlo.macaluso@libero.it
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