Tra le tante esperienze statuali africane post coloniali una somma di fallimenti a fronte a di non molti successi la Namibia merita un posto d'onore. Nonostante una forte recessione dovuta alla grave siccità e ai prezzi bassi delle sue principali risorse (diamanti, zinco e uranio), la democrazia parlamentare tiene. Lo confermano le tranquille elezioni presidenziali dello scorso dicembre: Hage Geingob è stato rieletto per un secondo mandato con il 56,3% dei voti nelle recenti elezioni davanti al rivale Panduleni Itula, che ha strappato il 29,4%, e a McHenry Venaani del Popular Democratic Movement (Pdm) con il 5,3%. Nelle parlamentari, la Swapo (il partito di Geingob) ha perso la maggioranza dei due terzi nella Camera dei 96 membri, vincendo 63 seggi; nel 2014 erano 77. Il Pdm ha ottenuto 16 seggi, quattro in più del 2014. Percentuali abbastanza serie e credibili, certamente ben lontane dai verdetti «bulgari» vantati nelle elezioni farsa organizzate dai vari cleptocrati che continuano ad affliggere il continente.
Al netto delle criticità, la Namibia rimane un paese stabile e sicuro, una meta turistica d'immenso fascino e una nazione matura in cui i diversi gruppi etnici hanno trovato un equilibrio più che accettabile e la maggioranza nera in tutto tre milioni pur detenendo il potere politico convive senza troppi problemi con la minoranza bianca circa 100mila persone vero motore dell'economia. Una curiosità. Accanto agli anglofoni, per lo più sudafricani o ex rhodesiani, vi sono anche i 13mila discendenti dei primi coloni tedeschi che, fra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, costituirono l'antica Deutsch Sudwest Afrika (Africa Tedesca Sud-Occidentale). Non si tratta di un fossile storico ma di una comunità vivace e integrata che ha permeato dei suoi stili di vita l'intera società namibiana. Lo conferma il rigore e l'osservanza delle leggi e dei regolamenti, ma anche la cucina: il dolce nazionale è, infatti, lo strudel.
Grazie agli aiuti dalla madrepatria, la lingua tedesca è ancora molto diffusa sul territorio e in ogni città la «germanicità» è presente soprattutto a livello architettonico, ma anche a livello mediatico, culturale ed economico. La «tribù tedesca», infatti, possiede scuole, un canale televisivo, una radio e anche un giornale interamente nella lingua di Göethe, oltre a organizzare un carnevale e un'Oktoberfest alla «Windhoeker».
Ma, come accennavamo, i problemi drammaticamente restano aperti, in primis quello della siccità. L'anno scorso, per la seconda volta in un triennio, è stato dichiarato lo stato d'emergenza: a causa delle scarse precipitazioni, 60mila animali sono morti e su 500mila persone è piombata la carestia più nera. Un disastro a cui il governo ha cercato di porre rimedio con aiuti per i rifornimenti di cibo e acqua ma, soprattutto, accelerando i piani per progetti verdi e risorse sostenibili.
Grazie a un'eccellenza italiana come Salini Impregilo, i primi risultati sono arrivati già a marzo di quest'anno. All'estremo sud del Paese, nella poverissima e secchissima regione di Karas (in certi periodi dell'anno l'umidità non supera l'1 per cento), è stata inaugurata la diga di Neckartal, alta fino a 78 metri e lunga in cresta 518. L'imponente opera fermerà le acque del fiume Fish, poco più di un rigagnolo per dieci mesi all'anno che, però, tra gennaio e febbraio puntualmente si gonfia a dismisura e scatena, lungo il suo percorso, colossali piene. Un evento eccezionale provocato dalle torrenziali piogge che in pochi giorni riversano dal cielo ben quindici metri d'acqua ma anche per questa landa desertica un patrimonio liquido dal valore inestimabile, ma sinora inafferrabile, ingestibile. Una ricchezza sprecata che in poche ore scorre impetuosa sino alla foce per disperdersi nelle immensità dell'Atlantico meridionale.
Da adesso tutto cambia. A pieno regime lo sbarramento sul Fish darà vita all'invaso più grande di tutta la Namibia: 40 chilometri quadrati ovvero l'equivalente di 300mila piscine olimpioniche con una capacità di 857 milioni di metri cubi. Le acque raccolte saranno prioritariamente utilizzate per produrre energia elettrica (altra emergenza namibiana) grazie a due turbine Francis; una volta defluite nel fiume verranno incanalate in una traversa fluviale più a valle e da lì, per mezzo di una stazione di pompaggio, spinte in una condotta lunga 11 chilometri sino a un altro bacino artificiale da cui diparte una rete d'irrigazione che coprirà oltre cinquemila ettari di coltivazioni. L'obiettivo è creare, proprio nel cuore del deserto, un polo agricolo. Dunque, occupazione, lavoro, futuro.
Ultimo, significativo, dato. Il grande cantiere di Salini Impregilo è anche una bella storia (italiana) di sviluppo sostenibile e di sana cooperazione. Come racconta l'ingegnere Guido Scalzi, il trentacinquenne project manager dell'opera, l'impresa si è dimostrata un eccezionale volano per l'intera area: «La quasi totalità della forza lavoro (circa 5mila persone) proviene dai villaggi e dalle città vicine. All'apertura dei lavori era difficile persino trovare un meccanico. Pian piano, l'indotto creato dai lavori ha spinto gli abitanti a dar vita a nuove attività commerciali, ristoranti, negozi, botteghe che offrivano servizi. Così si è messo in moto un processo virtuoso che ha coinvolto migliaia di persone». E ancora, come ricorda Scalzi, «molti ragazzi che non avevano di che vivere sono stati formati e integrati nel cantiere.
Il nostro responsabile sicurezza, ad esempio, è un ragazzo namibiano, mentre un altro giovane che si è formato in cantiere è oggi dipendente di Salini Impregilo e sta lavorando come assistente al capo contabilità nella costruzione in Tagikistan della più alta diga al mondo».Parole su cui i fan delle Ong, complici dei negrieri «buonisti» che trasbordano frotte di disperati sulle nostre coste, dovrebbero riflettere.
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