Dior e Maria Grazia Chiuri «La moda secondo me»

Presentata la collezione Fall 2020 che arriverà nei negozi ad aprile. Determina il 70 per cento delle vendite del brand

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Parigi Poesia e pragmatismo, ragione e sentimento, la tradizione e il nuovo. C'è tutto questo nella cosiddetta Dior Fall 2020, ovvero la collezione che non sfila ma arriva nei negozi ad aprile per continuare ad alimentare l'alchimia del desiderio fino a Natale. Inutile dire che dal punto di vista commerciale è la più importante che ci sia, quella che determina almeno il 70 per cento delle vendite di un marchio globale. Maria Grazia Chiuri la presenta a un ristretto gruppo di addetti ai lavori in una storica palazzina davanti all'Arc de Triomphe lasciando tutti a bocca aperta per il perfetto equilibrio tra quantità e qualità delle proposte. «Per prima cosa ho ragionato sul mio essere italiana in una maison francese e su cosa significa fare moda oggi» esordisce la Chiuri davanti a un esercito di manichini magistralmente vestiti. C'è quello con un sublime vestito blu con gonna a corolla e petali di velo attorno al collo. È un'evidente reinterpretazione di un modello anni '50, così francese nel gusto che ti vien voglia di dirgli «Bonjour». Poi ci sono non si sa bene quanti anorak in tessuto tecnico: l'evoluzione della specie K way che, per la cronaca, nasce in Francia grazie al genio inventivo di Léon-Claude Duhamel, ma solo in Italia è diventato un prodotto di moda. Quelli di Dior sono semplicemente meravigliosi con la stessa sinfonia di colori bruciati oppure di blu che si ritrova sulle lunghe gonne in tulle paillettato per la sera. C'è un peacott blu con in bottoni oro che urla «Regardez moi» per la linea impeccabile, ma poi lo guardi e ti accorgi che è fatto in double di cashmere con la stessa tecnica di produzione messa a punto a suo tempo nella sartoria milanese di Mila Shoen. Il tailleur in tweed chinè con la gonna a spicchi parla anche inglese per il tessuto, ma l'idea di usare le classiche stoffe maschili al femminile nasce in Francia e si perfeziona da noi. Quanto alla giacca Bar, caposaldo dell'estetica Dior dal 1947, per la prima volta sembra portabile anche da chi non può vantare il magico ensemble tra seno piccolo e vita stretta.

«Ci ho lavorato tantissimo spiega Maria Grazia mi sono chiesta se voglio fare moda come design oppure come immagine fashion. Non ho dubbi, la cosa che conta per me è il design». Comincia così una lunga e appassionante dissertazione su cosa significa fare moda in Italia e in Francia. «Loro hanno in testa l'idea del couturier-artista il cui lavoro è legato al sogno e all'immagine. La Francia ha una lunga tradizione in questo senso. Per noi tutto è legato al design. Del resto da noi la moda nasce negli anni '70, mentre qui per le origini si parla di secoli» spiega Madame Chiuri ricordando poi che Monsieur Christian ha sempre e solo fatto couture, mentre il prét à porter nasce nel 1975 con Marc Bohan.

Inevitabile chiedere quale di queste due anime preferisca e lei serafica risponde di aver capito molte cose su se stessa e sull'italianità del suo metodo, da quando vive e lavora in Francia. «Vorrei fare Dior Senza enfasi» continua raccontando di quando, giovanissima, ha cominciato a lavorare per Chiara Boni girando con lei per fabbriche e laboratori. «È una cosa conclude - che ti rende diverso da chi punta i vestiti sui manichini in atelier». Infatti nel cosiddetto moodboard (il pannello delle ispirazioni di collezione) compare un nome che nella Milano degli anni '70 ha segnato un prima e un dopo. Monica Bolzoni, anima e maitre à penser della Boutique Bianca e Blu in via De Amicis, ha vestito la buona borghesia milanese di inquietudini e voglia di cambiamento. Amica del cuore di Miuccia Prada, con lei ha trasformato l'eleganza assoluta di Yves Saint Laurent in qualcosa che si poteva portare alle assemblee del Movimento Studentesco e nel salotto della futura suocera che a malincuore avrebbe poi mollato uno dei suoi brillanti per far confezionare l'anello di fidanzamento. L'amarcord finisce prontamente quando Maria Grazia ci porta al secondo piano dove sono esposti gli accessori.

È una specie di Paese del Bengodi in cui passi dai bauli decorati con i disegni di Pietro Ruffo al beauty case logato Dior, dalle slingback ricamate ai mocassini per i jeans, dai foulard stampati in double al copritelefono. Il tutto così desiderabile, funzionale e inequivocabilmente Dior. Fatto al 70% in Italia con la forza invincibile della più nobile tradizione francese.

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