IL DIRETTORE DEL TG5 4 CLEMENTE MIMUN

In realtà è difficile interromperlo con le domande. La scaletta ce l’ha talmente in testa, che basta accennargli l’argomento e poi lui fa tutto da solo. A quel punto, la difficoltà è solo quella di stargli dietro. Diciamo che non è un pesce freddo il direttore del Tg5, Clemente J. Mimun, è un uomo di passioni. Che siano per la sua Harley-Davidson, per la Lazio, per il suo Border Collie, per il mare di Sabaudia, per la cultura e l’humour ebraico (che lui non esibisce come un pedigree per i salotti buoni ma sente davvero come un’appartenenza profonda). È affettuosissimo e infiammabile. Accogliente e ruvidissimo. Si apre in sorrisi spiazzanti che hanno poco a che fare con le espressioni che normalmente gli muovono (o gli tengono fermo) il volto. Sembra un eterno ragazzo, ma poi scopri che ha conosciuto e qualche volta dato del tu a tutti i padri della Prima Repubblica (da Craxi a Fanfani, da Parri a Bisaglia) e che conosce a memoria ogni piega della politica romana. È uno che innova ma conserva, di scatto e di resistenza. Da quando è al timone del Tg5 è andato in video poche volte, solo all’inizio del suo insediamento, per umiltà. Però ha dimestichezza con la telecamera, è a proprio agio sotto le luci come ricordano in molti da quel mitico faccia a faccia tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi (17 milioni di telespettatori), «domato» con una freddezza (stavolta sì) inarrivabile. Ha reso grande il Tg2, ha diretto il Tg1 ai tempi in cui faceva più del 30% di share, oggi è a capo del Tg5 che ha fondato con Enrico Mentana. E lo tiene a barra dritta malgrado i «cavalloni» dell’attualità.
Direttore, cosa ne dice del monito di Napolitano che invita i tg a un’informazione meno urlata, ripulita di un po’ di cronaca nera e giudiziaria?
«Il presidente della Repubblica non parla spessissimo e quando lo fa, vale la pena ascoltarlo. È vero che la cronaca nera e quella giudiziaria sono molto presenti nei tg, come del resto sui giornali. Il suo è un invito del tutto legittimo».
Ma?
«Ma intanto non penso che i tg abbiano un compito pedagogico, anche se per il loro peso vanno realizzati con grandissimo senso di responsabilità. Poi penso si debba sempre tener conto anche delle passioni e degli interessi degli italiani che, per tradizione, sono molto attratti dalla nera e dalla giudiziaria. E poi il Presidente, giustamente, non tiene conto del mercato. Voi siete giudicati per le copie che vendete, noi per l’auditel».
Una volta hanno proposto di tenere i tg fuori dal rilevamento auditel…
«Sì, ma non sono d’accordo. I riscontri sono sempre necessari. La verità è che è difficile trovare il giusto mix tra informazione di servizio e mercato. Con Toni Capuozzo a Terra, ad esempio, facciamo un prodotto di altissima qualità occupandoci di grandi temi e solo in rarissimi casi di nera. Magari riusciamo a ottenere un 10-12 per cento, poi un qualsiasi speciale su Avetrana, però, fa il 20-25 di share».
E perché secondo lei?
«Perché un caso del genere, nel quale la verità cambia sette volte al giorno, appassiona l’opinione pubblica. Così come ottengono ascolti importanti i programmi che si occupano di politica gridata, o hanno sempre lo stesso tema al centro della trasmissione, Berlusconi. Ecco, la rissa è lì, dove fanno processi, emettono sentenze, organizzano manifestazioni e veri e propri movimenti politici. Un esempio? Annozero!».
Quindi la colpa è dei talk?
«Non direi colpa… La politica da diversi anni a questa parte è rissosa di per sé. E in certi talk si getta benzina sul fuoco. Se noi edulcoriamo i toni esasperati della politica gridano alla censura o ci accusano di essere distanti dall’attualità. Per i talk è più facile. Prenda Santoro per esempio, fazioso, ma bravissimo. Riesce a farsi seguire da quelli che la pensano come lui, ma anche (come direbbe Veltroni) da coloro che lo detestano e vogliono vedere fino a che punto provocherà».
Quindi, la soluzione?
«Mah, cominci a dare il buon esempio la Rai, in quanto servizio pubblico, che incassa gli abbonamenti di decine di milioni di famiglie e ha sedi di corrispondenza in tutto il mondo. Noi non esageriamo né con giudiziaria, né con morti ammazzati, meno che mai col gossip. Al massimo esprimiamo un certo orgoglio nazionale, enfatizzando quanto di buono l’Italia sa fare sul piano dello stile, dei motori, dell’alta gastronomia, dell’arte. Detesto il catastrofismo, l’Italia è un grande Paese…».


E su cos’altro bisognerebbe puntare?
«Sull’economia, soprattutto quella che interessa le famiglie, sui conflitti anche sconosciuti, che affamano popoli e accrescono i pericoli del terrorismo, sui grandi temi insomma. Vedrà che tra Tg5 e All news di Mediaset sapremo essere forti ed innovativi anche in futuro».

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