Il disavanzo esplode e l’euro sale

Partite correnti, passivo di 805 miliardi di dollari nel 2005. Bernanke preoccupato

da Milano

L’America inciampa ancora nella voragine provocata dal deficit delle partite correnti, salito nel 2005 alla vertiginosa cifra di 804,9 miliardi di dollari, e torna a sollevare dubbi sulla sostenibilità di un disavanzo di questa entità. Con riflessi pressoché immediati sul mercato dei cambi, dove ieri l’euro - prima stordito dal deludente andamento dell’indice Zew sulla fiducia delle imprese tedesche - ha poi rimontato velocemente fino a portarsi nel pomeriggio a quota 1,2017 dollari.
Il rosso delle partite correnti (una bilancia commerciale che oltre alle merci comprende anche i servizi) è la spia dell’incapacità finora mostrata dall’amministrazione Bush di sciogliere uno dei nodi più intricati e pericolosi non solo per l’economia Usa, ma anche per quella mondiale, come più volte sottolineato dall’ex presidente della Fed, Alan Greenspan, e dai principali organismi internazionali quali il Fondo monetario e l’Ocse. Ben Bernanke, suo successore alla guida della banca centrale, si è infatti detto ieri «piuttosto preoccupato». Le cifre sono infatti da allarme: una crescita del disavanzo del 20,5% rispetto al 2004, con una tendenza al peggioramento evidente nel risultato del quarto trimestre, periodo in cui il passivo è balzato a 224,9 miliardi contro i 185,4 dei tre mesi precedenti. Oggi il saldo negativo delle partite correnti corrisponde al 7,1% del Pil statunitense tra ottobre e dicembre, pari a 12.760 miliardi. Non è poco.
A dispetto dei timori manifestati a suo tempo da Greenspan sui rischi legati all’eventuale venir meno del contributo decisivo dei capitali stranieri a copertura del debito, l’America sembra tuttavia ancora al sicuro: gli acquisti netti di securities da parte degli investitori internazionali hanno sfiorato i 110 miliardi sia nel terzo sia nel quarto trimestre, stabilendo così nuovi record, mentre tra ottobre e dicembre lo shopping di titoli del Tesoro Usa è ammontato a 70,1 miliardi dai 40,8 dell’anno prima. L’incognita resta però il Giappone: il prossimo abbandono dopo cinque anni della politica dei tassi a livello zero, grazie alla quale molti investitori nipponici trovavano conveniente prendere denaro in prestito da reinvestire oltre confine, potrebbe provocare uno stop dei flussi verso l’America rendendo dunque più problematico il finanziamento del debito.


Non dovrebbe invece cambiare i piani di Bernanke l’inattesa flessione in febbraio della vendite al dettaglio (meno 1,3%). Per il primo trimestre è infatti previsto un incremento, tale da rendere ancora plausibile un rialzo di un quarto di punto dei tassi (dal 4,5 al 4,75%) nella prossima riunione del Fomc in calendario il 27 e 28 marzo.

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