Oggi il governo che ho l’onore di presiedere si rivolge al Parlamento, che è il luogo in cui la sovranità popolare trova la sua più alta espressione ed il suo più alto esercizio. La democrazia nasce con le libere elezioni, e vive con i parlamenti. Non vi può essere né autentica democrazia, né buongoverno, se il parlamento non è libero e forte. I governi democratici traggono la loro capacità di agire per il bene della nazione dal consenso sempre rinnovato dei rappresentati del popolo. Tra parlamento e governo non vi può mai essere contrapposizione, ma vi deve essere un’armonica simbiosi, nella distinzione dei ruoli e delle funzioni che la nostra Carta costituzionale assegna ad ognuno. Questa è la mia profonda convinzione, questo è lo spirito con il quale mi rivolgo ad ognuno di voi. Nel maggio di due anni fa, nel chiedervi il voto per la fiducia al nuovo governo, affermai che il lavoro che ci aspettava per ridare slancio all’Italia richiedeva ottimismo e determinazione.
Avevo visto bene. In virtù della netta espressione della volontà popolare del 2008, per l’Italia si apriva finalmente una stagione di grandi speranze e di auspicate e necessarie riforme. Gli elettori hanno raccolto e premiato il nostro comune appello a rendere più chiaro il panorama politico, a rendere più stabile e più efficiente il governo del Paese. Con il voto del 2008 è stata ridotta drasticamente la frammentazione politica, è stata scelta con nettezza una maggioranza di governo e un’opposizione, ciascuna con la propria leadership. Più del 70 per cento dei suffragi si è infatti concentrato sui due maggiori partiti, il Popolo della libertà e il Partito Democratico. Si è trattato della prima grande riforma voluta e certificata dal popolo nel segno di un bipolarismo maturo, con il riconoscimento reciproco tra avversari e teso a mandare definitivamente in archivio le pratiche della vecchia politica. Sia il mio discorso di presentazione del Governo alle Camere, sia il discorso del leader dell’opposizione, pur nelle fisiologiche e necessarie distinzioni, ebbero un comune denominatore: quello della responsabilità di fronte all’Italia e agli italiani. Si apriva un varco per quello spirito riformatore più volte auspicato in questi anni anche dal Capo dello Stato. L’allora leader del Partito democratico, onorevole Veltroni, citò una riflessione di uno dei Padri Costituenti, Piero Calamandrei, che personalmente condivido in tutte le sue parti, mentre altri ne ricordano sovente soltanto la prima. Diceva Calamandrei: “Il regime parlamentare non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza. Quest’ultima, a sua volta, deve avere rispetto per la legittimità elettorale della maggioranza e la legittimità costituzionale del Governo”.
Da qui, credo, si dovrebbe ripartire per dare un senso compiuto a questa legislatura che, negli auspici di molti, era considerata costituente. E dovremmo farlo senza compromessi al ribasso, assumendoci ciascuno la nostra parte di responsabilità, praticando il rispetto dell’avversario al posto della faziosità. Lo dissi il 25 aprile 2009 ad Onna, martoriata dal terremoto e ancora memore dell’eccidio nazista, e lo ripeto oggi. Dovremmo lasciarci definitivamente alle spalle i residui di una Guerra Fredda che ancora oggi divide troppo spesso il Paese in schieramenti ideologici e non in legittime contrapposizioni democratiche. Questo purtroppo non è successo. L’Italia, unico Paese d’Occidente, sembra rimanere vittima di un passato che non passa. C’è stata invece un’opposizione preconcetta e distruttiva, che qualche forza politica ha spinto fino al linguaggio intriso di odio continuo, sistematico e violento. In giro vedo, e sento, ancora troppo odio, e la storia (anche quella recente) ci ha insegnato che spesso l’odio ha armato la mano dell’eversione. E poiché i segnali di intolleranza politica o addirittura di violenza si sono moltiplicati negli ultimi mesi, tutti dovremmo esserne consapevoli e preoccupati.
E’ assolutamente, assolutamente indispensabile dunque, ritessere il filo della coesione nazionale. Siamo chiamati tutti a obbedire all’imperativo del bene comune che dà nobiltà alla politica e toglie legittimità ai rancori personali. Ho apprezzato lo spirito unitario con cui questo Parlamento ha dato sempre unanime sostegno ai militari impegnati nelle missioni all’estero, che sono il fiore dell’Italia migliore. Sento il dovere di rivolgere un commosso saluto al tenente Alessandro Romani, la trentesima vittima italiana in Afghanistan, dove i nostri soldati stanno tenendo alta con eroismo e grande professionalità la nostra bandiera e la bandiera della libertà di tutti i popoli che vogliono vivere in pace e in democrazia. A loro va il nostro sostegno, la nostra solidarietà, il nostro ringraziamento. E’ necessario guardare avanti con realismo e con saggezza. A questo fine dopo un breve accenno ai risultati dell’azione del governo in questi primi due anni, mi soffermerò sui principali obiettivi che intendiamo realizzare nella restante parte della legislatura. Lo farò senza eludere i nodi politici che, a mio avviso, hanno determinato l’attuale situazione e senza esimermi dall’affrontare le ragioni che hanno concorso a produrre una lesione nei rapporti interni alla maggioranza che nel 2008 ha ricevuto dagli elettori il mandato di governare. Partirò dunque dal rendiconto di ciò che abbiamo fatto.
Credo si debba oggettivamente formulare un giudizio largamente positivo su ciò che il governo ha realizzato nel corso di questi primi due anni, a cominciare dai risultati ottenuti sul fronte della crisi economica. Avevamo avvertito, già durante la campagna elettorale, che si annunciavano tempi difficili anche per la nostra economia. Non ci siamo trovati dunque impreparati di fronte al precipitare della crisi. Nessuno tuttavia poteva pensare che essa sarebbe stata così grave e così profonda. Ho ripetuto più volte e lo ribadisco anche oggi, che l’Italia pur partendo da gravi difficoltà, a cominciare dal suo enorme debito pubblico, ha affrontato questa crisi attraverso misure e provvedimenti che sono stati giudicati efficaci da tutti gli organismi internazionali. Potrei anche dire che ha affrontato la crisi meglio di altri Paesi. Non è solo per merito del governo. Se questo è avvenuto lo si deve a tanti fattori, fra cui il modello economico italiano fondato sul tessuto delle piccole e piccolissime imprese, fondato sul ruolo sociale svolto dalle famiglie e da una rete di oltre 8000 comuni, fondato su un sistema bancario reso sano e solido dalla alta propensione al risparmio degli italiani, e assistito da un modello di garanzie e ammortizzatori sociali che ha retto bene di fronte alla crisi di molte aziende. Il governo ha il merito di avere sostenuto questa realtà positiva, e di non aver compiuto l’errore, che molti governi invece hanno commesso, di aumentare in deficit la spesa pubblica, nell’illusione che l’aumento della domanda avrebbe fatto ripartire l’economia. L’Italia aveva bisogno di rigore e credibilità. Lo abbiamo fatto tenendo in ordine i conti pubblici e nello stesso tempo salvaguardando i redditi delle famiglie e dei lavoratori colpiti dalla crisi. E’ stata la scelta giusta. Ha consentito di superare la crisi e di non farci trovare nelle condizioni in cui si sono trovati altri Paesi europei alle prese con deficit pubblici giudicati non sostenibili dai mercati finanziari e quindi esposti ad attacchi speculativi. Abbiamo evitato licenziamenti di massa e, con essi, il depauperamento del capitale umano delle nostre imprese. Abbiamo tutelato i lavoratori maggiormente colpiti dalla crisi ampliando e rendendo più flessibile lo strumento della cassa integrazione. Abbiamo esteso le garanzie previste dagli ammortizzatori sociali ai lavoratori subordinati sospesi dal lavoro per crisi aziendali ed anche a quei lavoratori che fino ad allora non erano tutelati come gli apprendisti, gli interinali e i lavoratori a domicilio. Voglio anche ricordare che in occasione della drammatica crisi che ha colpito la Grecia, e che poteva coinvolgere gravemente l’euro, il nostro Paese ha saputo svolgere una funzione decisiva a difesa della stabilità della moneta europea e della sua stessa costruzione. In questa circostanza, è emersa con chiarezza la necessità di rafforzare l’unità politica dell’Europa, a partire da una politica economica comune, da una politica estera comune e da una comune politica della difesa europea. Il governo ha ottenuto in questi due anni risultati certamente positivi anche in altri ambiti: dalla lotta alla criminalità organizzata, al controllo dell’immigrazione clandestina, dalla risposta immediata ed efficace ad ogni emergenza, alla gestione di tante crisi aziendali, dalla riforma della pubblica amministrazione e della sua digitalizzazione a quella della scuola e dell’università, dal varo di un piano per l’energia nucleare all’avvio del federalismo, dalla riforma delle politiche di bilancio alla tanto attesa riforma delle public utilities, dalla semplificazione normativa e amministrativa alla riforma delle pensioni e all’abolizione dell’Ici sulla prima casa.
Questi sono alcuni dei successi più evidenti conseguiti dal nostro Governo. Per quanto riguarda la politica estera possiamo dire con orgoglio che l’Italia, finalmente, svolge un ruolo da protagonista sulla scena internazionale dimostrandosi punto di riferimento per le regioni di crisi e di tensione. Oltre a una intensa attività prettamente diplomatica, è stata attuata una precisa strategia di diplomazia commerciale che ha accompagnato le aziende italiane sui mercati internazionali e ha creato importanti opportunità di forniture e di lavoro. Operiamo per garantire la sicurezza globale, europea ed atlantica, sostenendo attivamente i processi di disarmo e non proliferazione in ogni regione del mondo. Vorrei citare non solo la rivitalizzazione del processo di Pratica di Mare ma anche e soprattutto l’incoraggiamento nei confronti dell’amministrazione americana e della amministrazione russa a riprendere le relazioni che si erano pericolosamente affievolite negli ultimi mesi della amministrazione repubblicana al fine di pervenire alla firma del nuovo trattato START per la riduzione degli arsenali nucleari. Innanzi alle Nazioni Unite l’Italia si è qualificata per una decisa azione per la difesa della vita, della libertà religiosa e di coscienza e la difesa dei diritti delle donne come fondamentali tra i diritti umani. La centralità della persona e la difesa del valore della vita rappresentano, d’altro canto, un fondamentale asse di orientamento della nostra azione di governo. Crediamo che sia arrivato anche il momento di dare attuazione all’agenda bioetica e al “piano per la vita” perché il nostro Paese deve saper guardare al futuro e non c’è mai vero e duraturo sviluppo economico se non c’è sviluppo demografico, speranza e voglia di costruire il domani per i nostri figli.
Veniamo ai cinque punti del programma: il federalismo fiscale, la riforma tributaria, la riforma della giustizia, la sicurezza dei cittadini e l’immigrazione e infine, da ultimo ma non in ordine di importanza, il piano per il Sud. Federalismo fiscaleIl federalismo fiscale è stato votato nel suo percorso parlamentare non solo dalla maggioranza, ma anche da quasi tutte le forze di opposizione, e non prevede la benché minima ipotesi di divaricazione tra Nord e Sud d’Italia. E’ vero semmai il contrario, perché il federalismo rigoroso e solidale, a regime, sarà la cerniera unificante del Paese, e un vantaggio per tutte le aree dell’Italia, soprattutto per il Mezzogiorno. Oramai è infatti dimostrato in ogni nazione moderna come l’attuazione di un vero, moderno federalismo rafforzi le ragioni dello stare insieme nella collettività nazionale. Il principio di sussidiarietà, sul quale si basa il nostro ideale federale di Popolari europei, è d’altronde il principio ispiratore delle grandi aggregazioni fra i popoli della nostra epoca, prima fra tutte l’Unione Europea, ed è logico e coerente che esso debba trovare piena applicazione anche nel nostro ordinamento nazionale. Attuare il federalismo significa crescere tutti insieme, valorizzando quanto vi è di meglio in ogni realtà regionale e locale. Ovunque il federalismo sia stato attuato a beneficiarne sono state maggiormente le aree che erano meno sviluppate. Lo stesso avverrà in Italia.
Attuare il federalismo significa rafforzare lo Stato. Uno Stato federale è infatti più forte di uno Stato centralizzato, perché non dovendo svolgere tutte quelle funzioni che spettano alle entità federate è maggiormente in grado di assicurare le sue funzioni essenziali, come ad esempio la politica estera, la difesa, la giustizia, l’istruzione e la ricerca, le grandi reti infrastrutturali. Gli esempi degli Stati Uniti d’America o della Germania lo dimostrano chiaramente. La legge delega è stata approvata dal Parlamento il 29 aprile del 2009 e con i decreti attuativi si sta rivoluzionando il sistema dei trasferimenti delle risorse pubbliche tra lo Stato e gli Enti locali. Il nuovo sistema non sarà più basato sulla spesa storica dei vari servizi, che obbliga lo Stato a rifinanziare tutte le spese, sprechi compresi, ma sui costi standard ritenuti necessari per fornire ai cittadini i servizi fondamentali, a partire dalla Sanità. Con il federalismo fiscale gli Italiani dovranno poter usufruire di servizi pubblici di uguale livello e qualità in tutto il territorio nazionale, e i Comuni saranno coinvolti nell’accertamento dei redditi dei contribuenti per combattere l’evasione fiscale. Gli amministratori dovranno operare con la massima trasparenza e dare conto ai loro amministrati di come spendono i soldi delle imposte. Gli Enti locali godranno dunque di una maggiore autonomia fiscale: la cedolare secca sugli affitti, appena introdotta con uno dei primi decreti attuativi, risponde appunto a questa impostazione. Il federalismo fiscale non comporterà maggiori costi per lo Stato e sarà attuato senza alcun aggravio della pressione fiscale complessiva, che sarà anzi destinata a diminuire progressivamente, in ragione sia della diminuzione degli sprechi, sia del restringersi dell’area dell’evasione fiscale. Dall’attuazione del Federalismo nascerà una nuova Italia, l’Italia delle autonomie più attente e vicine alle reali esigenze dei cittadini. Un’Italia della responsabilità a fondamento di un nuovo patto nazionale. La realizzazione del nuovo assetto avverrà attraverso la valorizzazione di tutte le autonomie ordinarie, degli enti locali e nel rispetto delle autonomie speciali con l’impegno di salvaguardarne la peculiarità. Con questa riforma viene a compimento una delle missioni per le quali ci siamo impegnati in questi anni e che ha rappresentato uno dei pilastri della coalizione alla quale gli italiani hanno dato la responsabilità di governare il Paese.
L’obiettivo della maggioranza di governo è ridurre la pressione fiscale e disboscare la grande giungla di un sistema fiscale che è praticamente rimasto invariato nelle sue parti fondamentali fin dalla riforma dei primi Anni Settanta. Tenendo conto delle esigenze e delle compatibilità del bilancio pubblico, sulla base della lotta all’evasione fiscale e del dividendo della crescita, senza creare ulteriore deficit, il Governo intende pervenire entro la legislatura al varo di norme che consentano una graduale riduzione della tassazione su famiglie, lavoro, ricerca. Per le famiglie, soprattutto per quelle monoreddito delle fasce più deboli della popolazione, resta fondamentale l’obiettivo del quoziente familiare, che già si sta parzialmente sperimentando in una rete di Comuni tra cui la Capitale, con una revisione delle imposte locali e delle tariffe a favore dei redditi familiari, anche con un sostegno diretto alla libertà di educazione. Il sostegno alla famiglia e il riconoscimento del valore di ogni essere umano richiedono anche l’approvazione di norme a tutela della vita sulle quali esiste in questo Parlamento un consenso non limitato alle forze di governo. Per le imprese si è già cominciato a ridurre il carico dell’Irap, attraverso la manovra economica e le misure per lo sviluppo nelle Regioni del Sud. In determinati casi, le nuove iniziative imprenditoriali si vedranno ridurre a zero l’Irap. E’ un’ipotesi importante di fiscalità di vantaggio. Ogni intervento sul fisco dovrà essere ovviamente supportato da una rigorosa analisi costi-benefici e dal consenso dell’Unione Europea, considerando che il debito pubblico che abbiamo ereditato resta superiore al prodotto interno lordo. La riforma fiscale sarà dunque la chiave strategica per la crescita del Paese.
La riforma della Giustizia è una priorità per il Paese, e il Governo rivendica i risultati già ottenuti, come la normativa e il Codice antimafia, l’introduzione del reato di stalking, la riforma del processo civile e la digitalizzazione del sistema giustizia. Ora, in ottemperanza del programma votato dagli elettori, intendiamo completare tutti gli altri punti. Il nostro intendimento è quello di attuare una riforma complessiva della giustizia, sia civile che penale, con l’obiettivo di rendere più efficiente il servizio ai cittadini ed effettivo l’articolo 111 della Costituzione, affinché nel processo sia assicurata la parità tra accusa e difesa, per una maggiore tutela delle vittime e garanzia degli indagati. Occorrerà intervenire sulla struttura del Csm con una riforma costituzionale che preveda due organismi separati, uno per i magistrati inquirenti e uno per i magistrati giudicanti, con il conseguente rafforzamento della separazione delle carriere. Occorrerà rafforzare, a maggior tutela dei cittadini, anche la normativa sulla responsabilità dei magistrati che sbagliano. E’ all’esame del Parlamento la legge a tutela delle alte cariche dello Stato. La stessa Corte Costituzionale ha infatti riconosciuto che “il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono alle alte cariche dello Stato costituisce un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello stato di diritto”. La giustizia è un pilastro fondamentale dello Stato di diritto, l’uso politico della Giustizia è stato invece e continua ad essere un elemento di squilibrio tra ordini e poteri dello Stato, ed è dovere della politica ristabilire il primato che le viene non dai privilegi di casta, ma dalla volontà popolare. Spetta al legislatore fare le leggi, spetta ai magistrati applicarle, ovvero amministrare la giustizia. Negli ultimi sedici anni questo equilibrio è stato in troppi casi alterato. Vi è poi il tema della ragionevole durata dei processi, che per la loro lentezza rappresentano una delle piaghe della giustizia italiana, sofferta da tutti i cittadini. I nove milioni di processi pendenti per cui l’Italia è il Paese più condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sono un macigno che dovremmo tutti voler rimuovere. Il governo presenterà a breve un piano straordinario per lo smaltimento delle cause civili pendenti, e a ciò si aggiungerà l’attuazione della delega in tema di semplificazione dei riti del processo civile, la riforma della magistratura onoraria e la riforma delle professioni. Anche per questo riteniamo indifferibile un ulteriore aumento delle risorse per la Giustizia. Stiamo procedendo anche all’attuazione del piano carceri che consenta l’applicazione integrale dell’articolo 27 della Costituzione quanto alla umanità della pena ed alla rieducazione del detenuto. Non vanno ovviamente dimenticati i molti provvedimenti legislativi in corso di approvazione in tema di diritto sostanziale per meglio contrastare la criminalità, in particolare quello contro i fenomeni di corruzione.
Con il pacchetto sicurezza il Governo italiano si è dotato della normativa antimafia più efficace al mondo per contrastare gli interessi economici della criminalità organizzata. Mai nella storia della Repubblica sono stati inferti così tanti colpi alla mafia e a tutta la criminalità organizzata. In due anni e quattro mesi sono stati sequestrati alle organizzazioni criminali più beni mobili ed immobili per un valore complessivo superiore ai 16 miliardi di euro. Le confische hanno già raggiunto un valore di 3 miliardi. Gli arresti di presunti mafiosi, attraverso più di 600 azioni delle forze dell’ordine, sono stati ad oggi 6.580, tra cui 27 dei 30 latitanti ritenuti più pericolosi. Sono risultati senza precedenti, ottenuti grazie all’impegno e alla determinazione politica del Governo, dei magistrati e delle forze dell’ordine che hanno operato in perfetta sinergia con l’esecutivo dando prova che esiste una grande squadra chiamata Stato. La maggioranza intende continuare questa lotta senza tregua alla criminalità organizzata, anche destinando al Ministero dell’Interno, al Ministro della Giustizia e alle forze dell’ordine una parte delle somme del Fondo unico di giustizia derivanti dal sequestro dei beni alla mafia. Tra le misure che hanno consentito una svolta cruciale nel contrasto al fenomeno mafioso, spiccano: l’inasprimento del carcere duro del 41 bis, così da impedire ai boss di continuare a dare ordini dal carcere e di godere del gratuito patrocinio; il reato di associazione mafiosa che è stato esteso anche alle organizzazioni criminali straniere; l’aumento di 30 milioni di euro del Fondo per le vittime dei mafiosi; il divieto di partecipazione alle gare per gli appalti pubblici per gli imprenditori che non denunciano le estorsioni. Il Governo conferma anche il suo fortissimo impegno nella lotta alla criminalità comune. L’azione dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, e di tutte le altre forze dell’ordine, sta dando grandi risultati, come dimostrano i dati relativi agli arresti, alle denunce e ai sequestri. Particolarmente significativo il risultato di un’accresciuta "sicurezza percepita", anche grazie all’operazione "Strade sicure" e al cosiddetto "modello Caserta" che vedono il coinvolgimento delle Forze Armate molto apprezzato dai cittadini nei quartieri più a rischio delle nostre città. Anche sul fronte dell’immigrazione clandestina questo Governo ha ottenuto grazie alla politica dei respingimenti e degli accordi internazionali, un grande risultato. Abbiamo ridotto dell’88 per cento gli sbarchi di clandestini che sono passati dai 29mila del 2008-2009 ai 3.500 dell’ultimo anno. Intendiamo proseguire nell’azione già intrapresa ed intendiamo anzi intensificarla favorendo nel contempo l’integrazione degli immigrati regolari.
Il Sud ha bisogno di regole, di rispetto delle regole e di un’adeguata dotazione di infrastrutture materiali e immateriali. Il Piano per il Sud dovrà rispondere parallelamente a queste fondamentali esigenze. Dal 2002 al 2009, su un valore di opere approvate dal Cipe e già cantierate, pari a circa 68 miliardi di euro, sono stati triplicati gli interventi nel Mezzogiorno. Nei prossimi tre anni saranno investite nel Mezzogiorno le risorse per circa 21 miliardi di euro (pari al 40% degli investimenti complessivi in tutt’Italia), raggiungendo nel 2013 alcuni risultati importanti come ad esempio: il completamento dell’autostrada Salerno–Reggio Calabria; il sostanziale avanzamento di opere quali l’autostrada Telesìna; l’asse autostradale Ragusa-Catania, la superstrada Ionica 106 e il raddoppio della superstrada Agrigento-Caltanisetta; le statali Olbia–Sassari e Carlo Felice; la rete metropolitana campana. Entro dicembre sarà pronto il progetto esecutivo del Ponte sullo Stretto di Messina che si inserisce nella realizzazione del corridoio Berlino-Palermo e che prevede l’alta capacità sino a Palermo. Sono iniziati i primi lavori sulla costa calabrese e prossimamente partiranno quelli sulla costa siciliana. Sono anche in corso i lavori dell’asse ferroviario Napoli–Bari, dell’asse ferroviario Battipaglia–Reggio e del nodo ferroviario di Bari. Nel Mezzogiorno miglioreremo i servizi del trasporto regionale ferroviario e ciò grazie alle risorse assegnate lo scorso anno e a quelle dell’acquisto di nuovi treni tutti da immettere nel Sud Italia. Voglio sottolineare che tutte le nostre strategie di contrasto alla criminalità organizzata vanno considerate come il primo pilastro del Piano per il Sud perché la liberazione definitiva del territorio dalla morsa della criminalità organizzata è il presupposto indispensabile per lo sviluppo del nostro Mezzogiorno. Ricordo tra i tanti provvedimenti in progetto: la Banca del Sud, in collaborazione con le Poste e con il sistema delle cooperative, per il finanziamento delle piccole realtà imprenditoriali; i Fondi europei per le aree sottoutilizzate concentrati su grandi iniziative strategiche; l’individuazione di zone franche urbane per nuove imprese come strumento di contrasto alla disoccupazione; e infine, come ho già anticipato, il Federalismo fiscale che sarà la riforma che metterà il Sud d’Italia alla pari del Nord nella qualità e nell’efficienza dei servizi pubblici, senza più sprechi nei costi tripli o quadrupli a causa di connivenze e infiltrazioni della criminalità nella gestione del denaro pubblico. Oltre alla fiscalità di vantaggio per il Sud, abbiamo avviato delle serie misure di lotta contro il lavoro irregolare, per favorire l’occupazione dei giovani, soprattutto nelle Regioni meridionali. Le misure poggiano su due pilastri: la semplificazione dei rapporti di lavoro e un maggiore controllo sui comportamenti che mettono a rischio l’incolumità dei lavoratori. Nel 2009, gli ispettori dell’INPS hanno controllato 100.591 aziende e nel 79% dei casi sono state riscontrate delle irregolarità. Le verifiche sono proseguite nel 2010 con un piano straordinario, concentrato specialmente in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Questi cinque punti non sono un elenco di riforme tra loro disgiunte: sono i capisaldi di un’unica strategia-Paese il cui fine è quello di rafforzare le nostre istituzioni, la nostra economia, il nostro territorio, il nostro tessuto sociale in modo che l’Italia esca da questa crisi mondiale più competitiva e pronta a vincere la sfida della nuova globalizzazione. Questa strategia e questi capisaldi hanno come obiettivo la crescita economica e come fondamento irrinunciabile il rigore delle nostre finanze pubbliche, nella consapevolezza che non vi può essere crescita duratura ed equa senza stabilità dei conti pubblici. Dobbiamo essere chiari con i nostri cittadini: non esiste una scelta tra rigore e crescita, l’uno tiene l’altra e viceversa. Il deficit pubblico non crea crescita ma solo diseguaglianza e povertà delle generazioni future.
Questi 5 capisaldi devono essere declinati in missioni che creino il contesto economico necessario a potenziare i motori della crescita attraverso una più efficace integrazione del nostro sistema produttivo nel flusso del commercio internazionale. Solo così le buone intenzioni e le ricette teoriche si tradurranno in vero e concreto sviluppo del Paese. Questo significa, per cominciare, favorire la crescita dimensionale delle nostre imprese e sostenerle più efficacemente nel loro sforzo di internazionalizzazione. Questo significa semplificare il lavoro delle nostre aziende liberandole dall’enorme massa di regole, spesso contraddittorie, che rappresentano il primo vero svantaggio competitivo, fabbricato tutto in casa, prima ancora di doversi confrontare con gli inevitabili ostacoli in terre straniere. Significa completare la riforma liberale, che annunciammo sin dalla nostra discesa in campo, assicurando che il principio fondamentale del "tutto è consentito tranne ciò che è vietato" sia applicato con chiarezza e trasparenza anche nel nostro Paese. Significa superare un sistema produttivo ancora fondato su un modello spesso anacronistico di relazioni sociali che ancora richiama un presunto conflitto capitale-lavoro. Significa fornire i nostri cittadini e le nostre imprese di fonti di energia economicamente convenienti, rispettose dell’ambiente e che nel contempo riducano la pericolosa dipendenza energetica del nostro Paese. E la sola risposta oggi è il nucleare, una sfida che dobbiamo perseguire con convinzione e determinazione. Significa potenziare in modo sostanziale il nostro sistema educativo, a partire dalla scuola, fino all’università e la ricerca. L’eccellenza della filiera educativa è imprescindibile in un paese in cui l’unica materia prima sono i nostri giovani. E se non siamo in grado di valorizzare i nostri figli il nostro sarà un Paese senza futuro.
Ho anticipato che non intendo ignorare le questioni politiche che gravano sul governo e sul futuro del nostro Paese. Siamo convinti che il nostro governo in questi due difficili anni abbia lavorato sodo con risultati ampiamente positivi. Perché allora, è inevitabile porsi questa domanda, nonostante questi risultati, sono sorte all’interno della maggioranza distinzioni e divergenze, che hanno condotto alcuni parlamentari del Pdl a formare un nuovo gruppo parlamentare? Ho sempre sostenuto che, ferma restando l’intangibilità del programma di governo sottoscritto con gli elettori, tutto il resto si può dibattere e migliorare. E’ evidente che un governo, dopo le elezioni, si può trovare alle prese con condizioni politiche e con problemi nuovi scaturiti da eventi imprevedibili, come quello ad esempio della crisi economica internazionale da cui la necessità ovvia di scelte nuove e non già codificate dal punto di vista politico. Non vi è dubbio, perciò, che su problemi nuovi, o sulle modalità di realizzazione del programma di governo in situazioni mutate, vi possa essere un necessario e legittimo dibattito all’interno dei partiti della maggioranza, discussione che può contribuire a mettere a punto una strategia più efficace nella risposta ai bisogni e di conseguenza capace di raccogliere un maggiore consenso. La mia stessa indole personale è sempre stata aperta alla ricerca di soluzioni più avanzate e migliori attraverso il confronto e l’apporto di contributi diversi.
E’ indubbio che negli scorsi mesi la dialettica interna alla maggioranza ha molte volte superato i limiti fisiologici del confronto sulle idee e sul modo migliore di realizzare il programma sul quale si è raccolto il consenso del popolo italiano. Si è assistito a critiche aprioristiche al Governo ed a chi ha avuto dal popolo il mandato a guidarlo. La mia amarezza, a questo proposito, deriva non solo dal fatto che sono convinto che l’azione del Governo non meritasse le critiche che gli sono state rivolte, ma anche dal fatto che uno degli obiettivi più importanti che mi sono posto, praticamente dal momento stesso in cui sono sceso in politica, è stato quello di riunire i moderati italiani in un’unica grande forza politica, capace di costituire uno dei pilastri del nascente bipolarismo. La nascita del Popolo della Libertà ha rappresentato da questo punto di vista un primo rilevante risultato che ritenevo e ritengo tuttora importante, anzi importantissimo, in vista dell’unione quanto più ampia possibile dell’area moderata e riformista e che ha come punto di riferimento il Partito Popolare Europeo. Voglio ricordare quanto abbiamo scritto nella Carta dei Valori con la quale il Popolo della Libertà si è presentato agli elettori: "Il Pdl è nato dalla libertà, nella libertà e per la libertà, perché l’Italia sia sempre più moderna, libera, giusta, prospera, autenticamente solidale. Noi sappiamo che i nostri valori sono radicati nella migliore tradizione politica del nostro Paese e della nostra società. Nel Popolo della Libertà si riconoscono infatti laici e cattolici, operai ed imprenditori, giovani e anziani. Si riconoscono donne ed uomini del nord, del centro e del sud. Siamo orgogliosi di questo nostro carattere popolare, perché ci conferma nel nostro disegno, che è quello di unire la società italiana, e di condurla tutta insieme verso un futuro migliore". Risulta chiaro da queste parole che chi ha dato vita al Pdl lo ha fatto con lo scopo di unire e non di dividere. Chi si è candidato ed è stato eletto con il Popolo della Libertà si è impegnato quindi davanti agli italiani a perseguire l’unità, e non le divisioni.
Per queste ragioni, per il fatto che il popolo italiano dalle scorse elezioni ad oggi ha sempre dimostrato e continua a dimostrare la sua fiducia nella maggioranza parlamentare e nel Governo che ha scelto, io ritengo che i passi indietro determinati dalle vicende di questi ultimi mesi, non abbiano per nulla intaccato la validità di questo progetto, che è essenziale per il bene del nostro Paese. Perciò sono convinto che in entrambi gli schieramenti si possa e si debba proseguire nell’impegno di costruire, pur nel riconoscimento delle diversità e dell’autonomia delle molteplici forze politiche, delle alleanze di governo e non semplicemente dei cartelli elettorali. Il passaggio di oggi costituisce un punto cruciale della legislatura. E’ importante riconoscerlo, per andare avanti e per non tornare indietro. Per il Paese è indispensabile che i prossimi tre anni della legislatura vengano utilizzati per completare le riforme economiche e sociali di cui l’Italia ha bisogno e per approvare quelle riforme istituzionali che sono necessarie per dotare il nostro Paese di un Parlamento e di un governo adeguati alla sua storia ed al suo futuro. Questa legislatura deve quindi continuare ad essere la legislatura delle riforme, compresa la riforma istituzionale, per la quale esiste una larga convergenza su alcuni punti essenziali: il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, il superamento del bicameralismo perfetto, la diminuzione del numero dei parlamentari, la riforma dei regolamenti delle Camere. Su questa riforma delle istituzioni c’è un lavoro già svolto in Parlamento che può diventare la base di partenza per un confronto che potrebbe approdare ad una decisione positiva entro la fine della legislatura.
Sono convinto che sia assoluto interesse del nostro Paese non rischiare un periodo di instabilità. Occorre fare ogni sforzo affinché ciò non accada. Occorre moltiplicare l’impegno comune per portare a compimento la legislatura con un’azione legislativa e di governo sempre più efficace. Occorre realizzare il nostro programma di riforme, il programma che abbiamo presentato al popolo italiano e sul quale il popolo italiano ci ha dato il mandato a governare. Dobbiamo tenere ben presente che nel popolo italiano si è profondamente radicata la volontà di poter scegliere direttamente da chi essere governati, ad ogni livello: dal sindaco della propria città al capo del proprio governo. La gran parte dei cittadini, per qualsiasi partito votino, non vuole che le decisioni fondamentali prese al momento delle elezioni possano venire alterate da logiche o interessi politici che sono a loro completamente estranei.
Lo dico convinto che questo governo abbia fin qui ben operato, lo dico convinto che non vi siano le condizioni di un’alternativa ad esso che possa rispettare sia la volontà popolare, sia la logica di un parlamento democratico, lo dico convinto che l’azione e i successi del governo sono stati resi possibili dal forte sostegno e dall’impegno costante dei gruppi parlamentari della maggioranza, sia della Camera che del Senato, ai quali va il sentito ringraziamento mio personale e dell’intero esecutivo. Abbiamo quindi il dovere di continuare a governare e a governare sempre meglio nell’interesse del Paese, secondo il mandato che gli elettori ci hanno liberamente dato due anni fa, e che hanno ripetuto e rafforzato ad ogni successiva tornata elettorale. Lo ripeto: oggi siamo di fronte a un passaggio delicato della vita politica italiana, le cui sorti sono affidate al senso di responsabilità di tutti e di ciascuno, sono affidate alla capacità della politica di mettere in primo piano il bene comune e l’interesse nazionale. Ecco perché, onorevoli colleghi, oggi voglio rivolgermi non solo alla maggioranza ma all’intero Parlamento, al di là di ogni schieramento. Spero che le mie parole siano meditate da ciascuno di voi e, in particolare rivolgo un appello a tutti i moderati e a tutti i riformatori: a quelli che condividono i valori liberali e democratici e a quelli che hanno la stessa visione della libertà, della patria, della persona, della famiglia, dell’economia e del lavoro. È un invito che rivolgo anche alle forze più responsabili dell’opposizione affinché valutino il nostro programma riformatore senza pregiudizi, avendo come obiettivo il bene di tutti i cittadini.
Per quanto ci riguarda, consapevoli delle responsabilità che gli italiani ci hanno attribuito, continueremo ad impegnarci con dedizione, con passione, con entusiasmo nell’attività di governo, per un’Italia più libera, più giusta e più prospera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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