
Dal reato di imbrattamento di beni culturali, procedibile d'ufficio, a quello di deturpamento di beni mobili semplici, procedibile a querela di parte: la querela del Comune però non è arrivata e quindi i tre attivisti di Ultima generazione che avevano lanciato vernice contro il Dito di Maurizio Cattelan sono stati prosciolti. Finisce così, in un tecnicismo giuridico e per una mancanza del Comune, il processo di primo grado nato dal blitz degli ambientalisti in piazza Affari del 15 gennaio 2023.
Il Comune si era costituito parte civile nel procedimento «al fine - si leggeva nella determina - di poter ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non, patito dall'amministrazione comunale». Aveva anche chiesto 447 euro di danni per la pulizia dell'opera. Ieri la Terza sezione penale ha disposto sentenza di non luogo a procedere per difetto di querela per i tre imputati, di 25, 26 e 40 anni, a processo per aver imbrattato con vernice gialla lavabile l'opera L.O.V.E., collocata da Palazzo Marino davanti alla Borsa nel 2010. Il reato di imbrattamento di beni culturali o paesaggistici, inizialmente contestato (e introdotto di recente), prevede pene tra i due e i cinque anni di reclusione e multe fino a 15mila euro. Il giudice Maria Teresa Guadagnino ha però riqualificato l'originale imputazione in deturpamento di beni mobili semplici, perché l'azione di protesta si è concentrata esclusivamente sul basamento dell'opera di Cattelan, risparmiando l'opera stessa. Quest'ultimo reato è punito con pene inferiori, ma soprattutto è procedibile solamente a querela della proprietà, che appunto non è stata presentata.
Durante il processo Cattelan si era schierato dalla parte degli attivisti, facendo sapere che per lui l'imbrattamento non aveva rovinato la sua statua e di non essersi sentito «offeso né danneggiato» dall'incursione ambientalista. Il difensore degli imputati, l'avvocato Gilberto Pagani, aveva chiesto l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato e anche la Procura aveva fatto istanza di assoluzione, ma per particolare tenuità del fatto. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 60 giorni.
Sempre durante il dibattimento gli imputati avevano chiesto e ottenuto di accedere alla giustizia riparativa e avevano espresso il desiderio di poter parlare nelle scuole di climate change. Il Comune si era dichiarato favorevole alla richiesta della difesa. Ieri gli attivisti hanno spiegato: «È necessario spostare l'attenzione dalla criminalizzazione delle azioni di protesta alla vera questione centrale: l'emergenza climatica e la responsabilità politica nell'affrontarla. Il percorso di giustizia riparativa intrapreso con il Comune ha rappresentato un'importante opportunità di dialogo e comprensione reciproca.
Gli incontri hanno avuto un valore significativo per noi, poiché hanno permesso di superare stereotipi e pregiudizi, creando uno spazio di confronto autentico. Uno dei risultati concreti di questo processo è stata la decisione condivisa di organizzare un evento pubblico incentrato non sul reato in sé, ma sulle vere vittime della crisi climatica».
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