Il Dna non è una prova infallibile e spesso l'eccessivo ricorso a test genetici sulla scena di un crimine tende a sviare gli investigatori dal vero colpevole e disperdere prove più solide, finendo per vanificare gli sforzi dell'indagine.
Il problema è sollevato dal libro Genetic Justice: Dna data banks, criminal investigations and civil liberties (giustizia genetica, banche del Dna, indagini investigative e libertà civili). Il libro, di Sheldon Krimsky e Tania Simonelli, mette in guardia dall'uso eccessivo del Dna da parte della scientifica e sottolinea i pericoli che ne possono derivare.
Il libro si apre - come riporta la rivista britannica New Scientist - con un aneddoto molto illuminante, il «fantasma di Heilbronn»: una fantomatica donna, secondo la polizia tedesca, si era macchiata di almeno 40 atroci crimini e di lei nessuna traccia se non dei resti di Dna raccolti sulle scene del crimine. Tutto si risolse, proprio «grazie al Dna», in un nulla di fatto: non esisteva nessuna donna, ma il Dna della presunta colpevole altro non era che quello di un operaio dell'azienda austriaca che produce e fornisce alla scientifica tamponi per raccogliere materiale genetico.
Insomma il Dna in questa indagine sembra l'unico vero colpevole, e la polizia scientifica si è fece abbagliare dalla fiducia eccessiva in questo tipo di indagini.
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