Don Verzè scrive ai pm: «Io come Cristo in croce Il San Raffaele non è fallito»

Don Verzè scrive ai pm: «Io come Cristo in croce Il San Raffaele non è fallito»

«Del San Raffaele sono stato e sono io l’ispiratore. Per questo mi assumo tutta la responsabilità di quanto è stato compiuto e con questa mia lettera mi offro al giudizio di tutti, dei signori pubblici ministeri, del consiglio di amministrazione, dell’opinione pubblica e rivendico l’intera responsabilità morale e giuridica di quanto avvenuto per il San Raffaele».
È uno dei passaggi più significativi, contenuti nella lettera con cui, Don Luigi Verzè, rompe per la prima volta il silenzio dopo quel buio di sospetti, illazioni e accuse piombato sul polo d’eccellenza sanitaria da lui voluto e fondato a Milano. La gestione fallimentare, lo scandalo, il suicidio del suo vice Mario Cal, il rovinoso crollo. Non una parola fino alla lunga lettera diffusa ieri: «Non leggo da mesi la stampa: ho pensato di fare come Gesù Cristo che, dopo aver guarito tanti ammalati e dopo averci donato una dottrina salvatrice, fu arrestato, calunniato e condannato alla croce: non si è difeso. Ma sono stato pregato di leggere una rassegna stampa e oggi non posso più tacere, con il rischio che il mio silenzio danneggi molti. In particolare l’Associazione dei Sigilli, persone tutte qualificate ed assorbite con assoluta purezza nel travaglio della gestione dell’Uomo, immagine di Dio, secondo la filosofia del San Raffaele. Sono sacerdote di 91 anni: ne ho viste di tutti i colori e mi sono semplicemente proposto di non lasciare il mondo assistenziale come l’ho trovato: cameroni di 30-40 letti, spesso sgangherati, senza servizi. Solo i ricchi potevano accedere alle case di cura private, tenute soprattutto da religiosi. Un peccato - mi disse il Cardinale Montini - che la Chiesa avrebbe dovuto pagare. Metodo? Imitare Cristo Gesù che guariva tutti senza aspettare un grazie. Era stato il Cardinale Schuster ad invocare per Milano un ospedale - continua don Verzè nella sua lettera - un ospedale vero che, senza discriminazioni, trattasse ogni ammalato come se fosse un altro Cristo».
Poi un accenno di soddisfazione riguardo alla sua creatura: «Oggi guardo dalla mia finestra: il San Raffaele è completato; è conosciuto in tutto il mondo per la bravura dei suoi medici, infermieri, ricercatori e docenti. Mi sovviene quando - scrive ancora don Verzè - a Verona, don Giovanni Calabria, oggi canonizzato, mi chiamò a sorpresa. Era il 12 Gennaio 1950 e mi disse: Il Signore ti vuole a Milano. Là nascerà un’Opera che farà parlar di sè l’Europa intera. Guardando l’Angelo San Raffaele che sovrasta l’intera Opera - continua il sacerdote, riferendosi alla statua che campeggia sopra la cupola del Dibit 2 - debbo riconoscere che quella profezia si è avverata. Oggi il San Raffaele non è fallito. È stato messo sotto la protezione del Vaticano e della Giustizia».
«Sì, è vero-ammette il sacerdote- un aereo il dottor Mario Cal, mio vice presidente esecutivo, mi propose di acquistarlo, per risparmiare tempo e fatiche, sempre disponibile per andare in India, a Dharamsala (Tibet), in Africa, in America Latina, oltre che a Roma, a Cagliari, ad Olbia, a Taranto, in Sicilia, ecc., dove la dottrina del San Raffaele venisse conosciuta e realizzata: dare tutto quello che si è e quello che si ha per guarire gli ammalati anche poverissimi, così come insegna Gesù: Andate, insegnate, guarite, mondate i lebbrosi. Non so come Mario Cal abbia gestito nei particolari la sua funzione - scrive ancora Don Verzè - ma escludo che abbia agito nel suo personale interesse e comunque mi assumo tutta la responsabilità di quanto è stato compiuto nella superiore finalità dell’Uomo realizzata dal San Raffaele. Con questa mia lettera rivendico peraltro anche la fondamentale importanza del suo esistere e del suo perpetuarsi nella panoramica della cultura e della sanità.

Confido di avere anche la forza (fisica) di affrontare dinanzi a tutti questo passo al quale non ho intenzione di sottrarmi. Concludo: ora so cosa significa essere con Cristo tempestato da insulti, sulla croce. Fa parte del mio programma sacerdotale».

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