Trattoria della Gloria, anarchia e piacere

Locale di via Pichi a Milano ha in cucina Tommaso Melilli, autore di libri interessanti sulla gastronomia contemporanea, qui in veste di oste con i soci Rocco e Luca. La sua cucina è sostenibile, responsabile, consapevole ma soprattutto molto gustosa. Esplora gusti inconsueti e può essere goduta sia da chi tende a farsi domande sia da chi quando mangia non vuole pensieri. Vini naturali e tanta allegria. E il bancone è sempre libero

Trattoria della Gloria, anarchia e piacere

Milano ha il nuovo Trippa. E Diego Rossi ha probabilmente il suo erede, Tommaso Melilli, poco più che trentenne cremonese cuoco più o meno per caso che si è conquistata una certa fama, meritata, per due libri che ne hanno fatto una sorta di Anthony Bourdain italiano: I Conti senza l’Oste, edito qualche anno fa per Einaudi, in cui Melilli raccontava il suo giro nelle cucine di alcuni dei ristoranti più interessanti di Francia e Italia, dove si era fatto prendere per piccoli stage; e il recente Cucina Aperta per 66thand2nd, in cui propone una serie di spunti sulla gastronomia contemporanea, alcuni dei quali davvero interessanti.

Ma Melilli è anche uno chef. Che in Italia aveva lavorato poco o nulla, avendo scelto molti anni fa di trasferirsi a Parigi, dove si era ritrovato a cucinare in contesti estremamente stimolanti e nei quali c’era sempre qualcuno disposto a investire su di lui senza limitarne la fantasia e la visione, fortuna della quale il ragazzo è ben consapevole. Poi, poco più di un anno fa, lo sbarco a Milano, città che lui, cremonese, ha sempre vissuto come una metropoli stordente. Qui con due soci (Luca Gennari, artista poliedrico, e Rocco Galasso, oste e sommelier che a Milano molto conoscono per essere stato il frontman di enoteca/naturale) ha aperto la Trattoria della Gloria in via Mario Pichi 5, nei pressi di via Gola, rilevandola dai genitori di una sua ex fidanzata, Greta. I due, Carmine e Gloria, non ne potevano più di quella vita prosciugante e hanno mollato tutto a Tommaso. Che ha fatto pochi aggiustamenti nel décor (tra i quali una bellissima lampada verde da biliardo con una storia romanzesca che ha piazzato sopra a un tavolo sociale) ma molti nella piccola cucina. Da cui ora escono piatti nitidi e interessanti, con amari amari, acidi acidi, che ricordano appunto quelli del Diego Rossi dei primi anni di Trippa, forse meno interessanti di quelli di oggi ma più spontanei.

Melilli ha un’idea precisa di come una trattoria debba funzionare, compreso il fatto che le regole sono fatte per essere trasgredite continuamente. Ma le sue sono poco ricorso alla carne e comunque solo quella da animali allevati in modo sostenibile. Pesce sono pescato con amo e non da allevamenti. Salumi fatti in casa. Tante verdure prevalentemente coltivate a poca distanza da Milano. Vini per lo più naturali ma senza inutili dogmatismi.

Io ho mangiato alla Trattoria della Gloria un venerdì sera, trovando posto su Internet con una settimana di anticipo alle 21,30. Già, trovare posto qui può non essere agevole ma proprio per evitare l’effetto-Trippa, il locale più imprenotabile di Milano, Tommaso, Luca e Rocco hanno deciso di lasciare sempre liberi da prenotazione i posti al bancone e al tavolo sociale, per i quali vale il “chi primo arriva”. Un sistema che dà una chance a tutti.

La cucina: io mi sono visto presentare uno stringato fogliettino senza nemmeno il nome dell’insegna, poi è passato Tommaso facendomi l’elenco dei piatti che non c’erano più e dei fiori menu, e mi ha spiegato tutto per filo e per segno. Tra gli antipasti ho assaggiato una mini-porzione di Minestrone, unico piatto che Melilli non toglie mai dal menu, lui che rifugge dai tormentoni, un magnifico Patè di fegatini di coniglio, Radici amare di Soncino (piatto davvero coraggioso perché non cerca sapori concilianti) e poi un assaggio di certe Puntarelle con alacce di Lampedusa che purtroppo erano poche. L’unico antipasto che non ho assaggiato tra quelli in menu è stato il Pollo fritto con salsa tartara, che lui mi ha definito “un gioco”. Se gioco è deve essere davvero divertente.

Passiamo ai primi. Sul menu erano indicati dei Rigatoni con torzella riccia e fiore sardo ma nel frattempo il condimento era stato sostituito da una genovese di colombaccio e devo dire che la cosa non mi è dispiaciuta. Poi non ho saputo resistere a un piattino di Polenta con cardoncelli e strachitùnt (e ho fatto bene). Un solo secondo, una magnifica Oca in terrena con purè di patate e pipetto. La Tarte tatin di zucca e il Segreto romagnolo con rape rosse e bietole le assaggerò la prossima volta (non passerà molto tempo) se le troverò in carta. Ah già, il dolce: sfuggo alla banalità del Tiramisù (in questo caso “perduto”, che mi fa immaginare sia fatto con il pane raffermo inzuppato nell’uovo e soffritto, ma non ne sono certo) e mi avventuro nel Castagnaccio. Sarà una buona scelta. Il prezzo finale per una cena completa con vino è stato di 121 euro per due. Ah, a proposito, del vino si occupa Rocco, non c’è una carta ma scaffali pieni da cui attingere.

Il locale è vivo, sempre strapieno, con tanta gente che si comporta come se fosse habitué (probabilmente lo è). Trattoria della Gloria è diventato un punto di riferimento del quartiere e questo è sempre una buona cosa. Il menù cambia spesso, l’acustica è pessima ma poco importa perché qui non si viene a tubare o a parlare di lavoro ma a godersi l’energia generale.

Il locale è carino, sospeso tra vecchio e contemporaneo, con il tempo certamente diventerà più personale. Nella bella stagione si può mangiare anche fuori. Chiuso il lunedì e il martedì, aperto a cena e il sabato e la domenica anch e a pranzo. Insomma, buone notizie da via Pichi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica