Tra donne fantasma e ninfe liberty Cappuccio rilegge il poeta Tomasi

Enrico Groppali

da Benevento

Ruggero Cappuccio, l'ispirato autore-regista che ha riportato Benevento e il suo Festival nell'alveo della cultura, ha esumato per l'appuntamento annuale con la poesia a teatro un suo antico omaggio a Tomasi di Lampedusa. Ossia quel Desideri mortali in cui il mondo del grande siciliano è affettuosamente evocato da un Coro di fantasmi-femmine che l'autore sotterraneamente identifica con le nove Muse della mitologia ellenica. Sono infatti le coreute biancovestite che animavano, nei personaggi resi immortali dal Gattopardo, le pagine del famoso romanzo a pronunciare lo sconsolato requiem in memoria del loro Poeta. In una inconsapevole premonizione di quello che, sei anni dopo, gli avrebbe ispirato la struttura di un altro coro femminile, quello delle madri-spose-sorelle che, in Paolo Borsellino essendo Stato, nel 2004 celebravano in distici commossi l'oratorio in nome del giudice assassinato dalla mafia, Cappuccio mescola alla prosa di Lampedusa i frammenti della memoria di queste giovani esuli dalla vita. Le quali, abbigliate come ninfe liberty, fisicamente rimandano a primaverili corolle di ninfee mentre sgranano l'appassionato Nostalgico Cantico della vita trascorsa tra incubi e sogni. Inframmezzato - mentre sullo sfondo due musici commentano l'evento come un moderno madrigale - da uno splendido Claudio Di Palma e da un magnetico Ciro Damiano, chiamati a ridar vita oltre che a Don Calogero e al Principe di Salina anche all'ectoplasma di Donnafugata e dell'artista che ne ha consegnato, ai posteri, la memoria.
E mentre l'autore Cappuccio riscrive il teatro nella dimensione dell'oratorio, i due grandi cavalieri dell'avanguardia scenica anni Settanta, Claudio Remondi e Riccardo Caporossi rinnovano gli strumenti del loro comunicare applicando, in Me & me, l'ironia dell'accumulo verbale all'orribile sofisticazione della parola. In un gioco di provocazioni, sussulti verbali e sarcastiche filastrocche che ricordano l'immortale Sergio Tofano quando creava la maschera di Bonaventura.

Dov'è andata a finire la comunicazione? Cosa maciniamo ogni giorno nel tritacarne delle formule fritte e rifritte? A cosa si è ridotta l'intelligenza del presente e la lezione del passato nella congerie indiscriminata delle frasi fatte e delle virgole in libertà? Questo ed altro si chiedono questi meravigliosi semiologi che, invece di seguire le orme di Roland Barthes, hanno preferito trastullarci dal palco con le risorse antiche e nuove della nostra amica più cara e negletta: la satira. Che ahimé scarseggia nell'esibizione del giovane Antonio Pizzicato nel concertino Voce sola viziato da una seriosità ai limiti della parodia.

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