Droga il capo e l’accusa di stupro per coprire un ammanco di cassa

MilanoPoche gocce di sedativo sciolte nel caffè. Poi, il buio. Una breve parentesi tra il prima e il dopo. Prima è l’assistente che porta la tazzina nell’ufficio del capo. Dopo è la donna stesa a terra con la camicia e il reggiseno stracciati, una forbice a terra sporca di sangue, e sangue anche sull’impugnatura della borsa che l’uomo tiene in mano mentre - sceso nei box - sta per salire in auto. E, dopo, è anche un’accusa di violenza sessuale aggravata. Uno stupro che lui, un manager milanese di 64 anni, non ricorda di aver commesso. Senza però averne la certezza, perché gli attacchi ischemici di cui è vittima da tempo ne compromettono la memoria. Quasi la scenaggiatura di un film. Ma è accaduto. Ed è un giallo su cui ha lavorato la Procura di Milano per più di un anno. Da quando - era il 2 febbraio del 2009 - una telefonata arriva alla polizia. È la donna che accusa il dirigente: «Mi ha violentata». Per poi sparire nel nulla.
Ora, a distanza di quindici mesi, la scena è ribaltata. È l’assistente personale del manager - italiana, 46 anni e incensurata - a finire sotto inchiesta, e l’uomo a incassare un proscioglimento. Perché un mosaico che sembrava completo, ha perso col tempo un pezzo dopo l’altro. Uno di questi sono proprio quelle poche gocce di diazepam sciolte nel caffè. Perché, dopo l’intervento della polizia, il dirigente finisce in ospedale sotto choc. Lo avevano trovato nei box dello stabile mentre cercava di aprire l’auto con il cellulare. E al pronto soccorso viene sottoposto a un esame del sangue, che rileva tracce dello psicofarmaco. Una presenza che non è in grado di spiegare al pubblico ministero Marco Ghezzi. «Non assumo quel farmaco», assicura. I consulenti nominati dal pm - uno psichiatra e un neurologo - lo descrivono come persona totalmente in grado di intendere e di volere. Ma al pm, il 64enne dice di ricordare poco o nulla di quella giornata. L’ultima scena che ha negli occhi è la sua assistente che gli porta il caffè. Poi più niente. Forse, spiega, dev’essere stato colpito da un attacco ischemico. Però è strano, insiste. Perché è vittima di episodi che durano solo pochi minuti, e che non gli provocano buchi nella memoria così lunghi. Eppure la scena del crimine sembra incastrarlo. La donna a terra, con gli abiti stracciati. La forbice sporca di sangue così come la sua 24 ore. Contro di lui, la denuncia dell’assistente assunta solo pochi mesi prima. Portata in ospedale, dichiara che il capo l’ha violentata, aggredendola con un paio di forbici. Ed è il secondo pezzo che si smonta.
I risultati degli esami sulle tracce ematiche, infatti, arrivano alla Procura. Quello trovato sulle lame e sulla borsa del manager è sangue mestruale. Così, gli inquirenti iniziano a battere un’altra strada. Ed è una strada che somiglia sempre più a una complicata messinscena. Ma ci sono altri due tasselli che completano il nuovo quadro. Uno è l’analisi dei computer sequestrati negli uffici del dirigente. I periti della Procura, infatti, sostengono che la donna abbia messo mano ai pc, modificando password e cancellando e-mail che svelerebbero il movente dell’intera vicenda. Il denaro. L’assistente, ricostruisce il pm, avrebbe ordito un contorto complotto per sottrarre al manager 20mila euro dai conti della società. L’altro tassello è una telefonata che arriva all’avvocato della donna. Una voce femminile si presenta come la figlia della presunta violentata. «Mia madre - dice - è morta suicida in Romania». La polizia contatta l’ambasciata. Di quel decesso, però, non ne sanno nulla. Più tardi, gli investigatori scoprono che la segretaria è viva, e che abita a Milano. La Procura, a questo punto, ne chiede il processo per calunnia, appropriazione indebita consumata e tentata, truffa aggravata, stato di incapacità procurato mediante violenza, lesioni volontarie e danneggiamento.

Lui, il manager, esce invece dall’incubo. L’accusa di violenza sessuale è archiviata. Ancora oggi, non ricorda cosa è successo quel giorno di quindici mesi fa. Sa, però, di aver rischiato il carcere per un intrigo degno di Hitchcock.

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