Due milioni in piazza a Teheran È rivolta contro i brogli del regime

Ora c’è tutto. C’è la rabbia dilagante. C’è il coraggio di scendere in piazza. C’è il sangue del primo martire. Tutto come trent’anni fa quando i signori d’oggi erano i nemici dello Scià, del tiranno. Tutto, anche stavolta, lungo lo sterminato viale di piazza Azadi, la piazza della libertà, il piazzale delle incontenibili manifestazioni che nel 1979 salutò il ritorno in patria dell’imam Khomeini. Lì alla testa di un serpente verde da un milione (ma c’è chi parla di due milioni) di persone sfila, 30 anni dopo, il nuovo profeta dell’opposizione, quel Mir Hussein Moussavi promosso da mite candidato ad araldo della nuova, auspicata rivoluzione. Un araldo che sfida il regime e si dice pronto a partecipare a nuove elezioni.
La nuova rivoluzione verde guidata dal 67enne ex primo ministro, vanta - da ieri sera - anche le prime preziose gocce di sangue martire. Sono quelle di un giovane senza nome caduto durante gli scontri accesisi dopo la marcia di Moussavi e di quel milione di sostenitori verso piazza Azadi, dopo quella prova di forza che regala per la prima volta ai manifestanti l’illusione di poter dominare le strade e di poter contrapporsi agli odiati nemici di regime. Così dopo quella sfilata inizia la sfida, l’assalto a una caserma di basiji, dei “volontari della rivoluzione” sempre al fianco di poliziotti e forze di sicurezza quando si tratta d’attaccare e manganellare i contestatori. Stavolta gli umiliati di sempre s’illudono di potercela fare, circondano il simbolo del potere, urlano il loro odio, mettono mano a sassi e molotov. La risposta è immediata. Prima uno sparo, poi un altro, infine una raffica di colpi. Un fotografo racconta di quel cadavere portato via dai suoi compagni e di almeno altri sei o sette feriti caricati a bordo di automobili. Nella notte confusa e agitata di Teheran la notizia resta da verificare. Chiara ed evidente emerge invece la grande prova di forza di Moussavi e dei suoi sostenitori. Sceso in campo con la scusa di moderare la folla, lo sconfitto delle elezioni si trasforma grazie a quella marcia verso Azadi nel primo oppositore capace, in 30 anni, di guidare una protesta di massa. L’opposizione si muove anche nel mondo informatico: la rivista Wired segnala che siti della propaganda ufficiale come leader.ir, ahmadinejad.ir e iribnews.ir sono attualmente inaccessibili, sembra perché intasati di traffico-spazzatura su richiesta di attivisti antiregime.
Il primo a cogliere il devastante pericolo, prima ancora dello svolgersi della manifestazione, è la Suprema guida Alì Khamenei. La più importante autorità politico-religiosa del Paese ieri, dopo aver ricevuto Mir Hussein Moussavi, ne accoglie in parte le richieste e incarica il Consiglio dei guardiani, l’organo costituzionale preposto a vigilare sul sistema elettorale, di indagare sulle accuse di brogli. La mossa vale quel vale, visto che già nel 2005 le contestazioni sulla prima elezione di Ahmadinejad vennero insabbiate dallo stesso Consiglio, ma è il sintomo della preoccupazione del regime.
Il coraggio di Moussavi e dei suoi sostenitori serve, alla fine, anche a ridare fiato a Washington e a un Occidente rimasto silenzioso di fronte a quell’evidente scippo elettorale. La Casa Bianca, dopo giorni di riflessione, esprime tutta la sua «preoccupazione», mentre il dipartimento di Stato si dice «profondamente turbato» dalle notizie di scontri e violenze.

In Europa il presidente francese Sarkozy si dichiara «molto preoccupato» e condanna «le violenze contro i manifestanti». Il premier britannico Gordon Brown chiede a Teheran di rispondere ai «seri interrogativi» sul voto.

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