Le due priorità dell’Unione zoppa

Bruno Costi

Non serviva certo il Financial Times per ricordarci che il centrosinistra festeggia con la sua vittoria elettorale, il peggior risultato possibile per l’economia italiana. Ma non dovrà essere il Financial Times, ed i tradizionali interessi anglosassoni di cui è portatore, a dettarci l’agenda degli interventi urgenti per il governo dell’economia italiana.
L’economia e la finanza pubblica vivono un momento particolarmente delicato e pericoloso dopo il voto. Ma non è la natura ed il profilo della politica economica contenuta nel programma del centrosinistra la nostra maggiore preoccupazione in questo momento. Quel programma non ci piace, è vero; è troppo proteso alla tutela delle grandi imprese, troppo ambiguo per le scelte strategiche in materia di energia e della modernizzazione del Paese, troppo intrusivo in campo fiscale e parafiscale e, soprattutto, non ce la farebbe a rimettere in moto il Paese. Noi avremmo preferito un programma che avesse messo la media industria esportatrice al centro della politica industriale, l’aggregazione e la crescita delle piccole e medie imprese, un fisco più leggero che puntasse a favorire gli investimenti e pure i consumi, una continuità con le grandi riforme già avviate dal Governo Berlusconi. Ma è innegabile che sia il programma di Prodi che quello di Berlusconi hanno la crescita dell’economia come obiettivo prioritario, perché entrambi consapevoli che se il prodotto nazionale non cresce, non può essere poi distribuito ai cittadini.
Sicchè ciò che preoccupa in questo momento è principalmente il rischio di paralisi e di ingovernabilità, perché le elezioni le vince non chi prende la metà dei voti più uno, ma chi riesce a formare un governo ed a governare, contando su maggioranze e numeri in Parlamento in grado di trasformare i programmi elettorali in leggi dello Stato. Li ha il centrosinistra questi numeri? No, non li ha, al punto che il prossimo governo sarebbe costretto a rinunciare a ministri senatori pur di non vanificare quei 3 voti di maggioranza di cui dispone al Senato.
Ed allora? Allora occorre prendere atto che, se le verifiche dei voti confermeranno, come dice Tremonti, la vittoria di Pirro del centrosinistra, il capitolo che si apre diventa un altro, quello della governabilità e del senso dello Stato, del realismo delle scelte pragmatiche, della responsabilità di fronte alle emergenze economiche rese gravi proprio dalla situazione di ingovernabilità che si apre.
In questo scorcio di 2006 l’economia italiana ha due priorità: tenere sotto controllo la finanza pubblica dandone la percezione all’estero; e riattivare la crescita dell’economia soprattutto dal lato delle esportazioni. Il governo Berlusconi ha ottenuto dall’Unione europea l’approvazione sul suo programma di stabilità economica per il 2006 ed il 2007. Prevede che quest’anno, con un debito pubblico pari al 108% del Pil ed un deficit del 3,8%, l’economia crescerà dell’1,3% e che l’anno prossimo potrebbe crescere ancora di più se il deficit scendesse sotto al 3% ed il debito tornasse a ridimensionarsi. Ma se per raggiungere gli obiettivi del 2006 il governo ha già operato attraverso la legge finanziaria in vigore, quelli del 2007 sono nelle mani del governo che verrà, lo stesso che tra due mesi dovrà presentare il documento di programmazione economica e finanziaria, ovvero la cornice della legge finanziaria 2007 e che a quel punto scoprirà quant’è difficile trovare i soldi per la riduzione del cuneo fiscale e contemporaneamente ridurre ulteriormente il deficit dello Stato, senza nemmeno avere una maggioranza forte in Parlamento.
La seconda emergenza è ridare subito slancio alla crescita dell’economia attraverso la ripresa delle esportazioni, che costituiscono l’unica componente in grado di dare quel contributo positivo al Pil venuto meno da due anni a causa del declino dell’industria italiana. Qui occorre far crescere la produttività del lavoro che trascina la competitività delle merci italiane nel mondo. Ma la produttività italiana per crescere ha bisogno di una massiccia iniezione di cambiamenti organizzativi, tecnologici ed infrastrutturali, la cosiddetta produttività totale dei fattori, che manca perché mancano i soldi, ma manca anche la mentalità di inserire questa fra le priorità della politica economica italiana.
Queste due priorità vanno affrontate senza nascondersi.

Il Paese non può sperimentare il costo sociale ed economico dell’ingovernabilità per scoprire tra un anno che era meglio risparmiarcelo. Ecco perché c’è poco da festeggiare a sinistra e molto da lavorare in entrambi gli schieramenti per trovare punti di incontro, almeno per il tempo necessario a tornare al voto. Nell’interesse del Paese.

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