E adesso Parmalat rischia di finire a pezzi

La via della mini Opa costa 2 miliardi. E Ferrero si nasconde. L'opzione politica prevede una trattativa con i francesi ma non c'è più tempo. L’unica via d’uscita potrebbe essere quella di trattare con la Francia una resa condizionata: a te quello, a me questo. Ma non è facile

E adesso Parmalat rischia di finire a pezzi

Parmalat è ormai più di là che di qua. Le strade che si stanno studiando per mantenerla in Italia si sono ridotte a due. La prima prevede il lancio di una costosa Opa, una scalata parziale sul 60% del capitale. E l’altra è lo spezzatino. Vediamole. La via del mercato, che non è stata ancora abbandonata dagli uomini di Intesa, costerebbe almeno 2,5 miliardi. La scappatoia viene fornita dalla solita legge Draghi. La possibilità è quella di dire al mercato che un nuovo soggetto (già creato da Intesa) si impegna a raccogliere sul mercato il 60% dei titoli Parmalat a un prezzo prefissato. E qui vengono i dolori. È difficile pensare che una scalata di questo tipo si possa fare a un prezzo lontano dai 2,8 euro al quale i francesi di Lactalis hanno comprato il 15% dai fondi. Ciò vorrebbe dire valorizzare la società di Collecchio 8,7 volte i suoi margini lordi. Ben più di quanto, per fare un esempio, valga comparativamente oggi l’ottima Kraft. A questi prezzi (ulteriore problemino) è complicato convincere i Ferrero (piuttosto restii in assoluto anche a comprare un pacchetto di sigarette) a scucire. Intesa ha già deliberato circa 300 milioni di cassa di guerra. Altrettanti (ma non sono stati ancora deliberati) li potrebbe mettere Unicredit. Palladio (il fondo da 600 milioni che ha al suo interno anche le Generali) è difficile che possa esagerare: più di 100 milioni sono tutti da vedere. Tamburi è più apparso sui giornali, che nelle trattative. Mediobanca avendo comprato nei mesi scorsi sul mercato, non potrà partecipare. Comunque la cifra necessaria appare lontana. E quel che è chiaro è che un’operazione di questo tipo, Intesa e altri, senza un socio industrialenonla fanno. Granarolo è completamente fuori. Sarebbe come chiedere ad Heidi di sculacciare Mazinga Zeta.

Certo il veicolo scelto per la scalata dagli italiani potrebbe incorporare un po’ di debito al suo interno, per abbassare la soglia dei 2,5 miliardi necessari. Ma poiché con l’eventuale 60% della società non si possono comandare le assemblee straordinarie, si allontanerebbe ogni possibilità di fusione (veicolo indebitato con Parmalat gonfia di cassa) e dunque la remunerazione di questo cavallo di Troia non potrebbe che derivare dalle cedole degli utili: difficile quindi indebitarla per più di 500 milioni.

La via è stretta, strettissima. Resta l’opzione politica. Il governo continua a fare buu ai francesi. Nel frattempo deve anche sistemare la vicenduola Edison, in cui gli italiani potrebbero essere costretti a scucire la bellezza di 5 miliardi per tenersi le lampadine a casa. Non resta dunque che l’«amoral» suasion. Un modo informale per spiegare loro che non sono graditi. In questo caso l’unica via d’uscita (tutta da studiare dal punto di vista tecnico) è quella dello spezzatino. La Parmalat è fortissima all’estero: Canada, Sud Africa e Australia. Molte diqueste divisioni sono figlie di acquisizioni fatte dal lattaio con i soldi degli obbligazionisti truffati. L’unica via d’uscita potrebbe dunque essere quella di trattare con i francesi una resa condizionata: a te quello, a me questo. Non facile. Ci hanno provato per anni con le centrali Edison e si è visto come sta finendo. Però resta pur sempre una strada.

Sia nel primo che nel secondo caso, è necessario però tempo. Equi sorge l’ultimo problema. Bondi (specialista tanto nei risanamenti quando nel creare le condizioni ottimali per l’arrivo di un cavaliere bianco ed estero) nel prossimo cda ha la possibilità derivante dal decreto tremontiano di rimandare l’assemblea degli azionisti e per questa via dare tempo alle difese. Ma, come gli hanno ricordato a brutto muso gli avvocati di Lactalis (Gatti e D’Urso) sarebbe in conflitto di interessi poiché è candidato della lista di Intesa.

E inoltre lo statuto della Parmalat già prevederebbe la facoltà di rimandare l’assemblea per casi straordinari, facoltà che non è stata attivata. Financo il tempo è improvvisamente diventato molto caro in Parmalat.

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