E lo chiamano successo

Quanto pesano i morti? Non è cinismo allo stato puro, è solo una domanda legittima dopo la liberazione dell’inviato de la Repubblica, Daniele Mastrogiacomo. Rispetto le sue paure e la sua ovvia gioia per la liberazione. Ma dietro al successo c’è una tragedia. Abbiamo pianto una lunga fila di bare, fino a ieri, per una causa decisamente poco nobile - per il comune pensare di una certa sinistra - come la guerra al terrorismo; oggi c’è il corpo decapitato di un povero afghano caduto per una causa poco nobile

Quanto pesano i morti? Non è cinismo allo stato puro, è solo una domanda legittima dopo la liberazione dell’inviato de la Repubblica, Daniele Mastrogiacomo. Rispetto le sue paure e la sua ovvia gioia per la liberazione. Ma dietro al successo c’è una tragedia. Abbiamo pianto una lunga fila di bare, fino a ieri, per una causa decisamente poco nobile - per il comune pensare di una certa sinistra - come la guerra al terrorismo; oggi c’è il corpo decapitato di un povero afghano caduto per una causa poco nobile - per il comune pensare dei talebani - come guidare un fuoristrada pagato da un reporter italiano. E c’è l’ansia per un altro afghano, l’interprete, che nessuno sa che fine farà. Morti senza peso. Come non pesò, allora, per molti il cadavere di Quattrocchi, un eroe da piangere per metà del Paese, un fascista mercenario da disprezzare per l’altra.
Mi sono commosso, come tutti i padri, vedendo in tivù la corsa pazza della figlia di Mastrogiacomo che terminava in un abbraccio liberatorio al collo del padre. Ho ripensato alla scena senza gioia del ritorno della Sgrena ferita aggrappata al collo di un nostro agente segreto, che aveva contribuito a salvarla, e che il nostro Stato poco dopo ha messo al gabbio. Non c’era allegria, allora. Solo lagrime. Su un altro aereo viaggiava la bara di Calipari, un martire del quale a molti non fregava nulla se non usarlo come una clava contro Bush e gli Stati Uniti. Anche l’altra sera, a Ciampino, aleggiava un fantasma. Ma era quello dell’autista afghano, a chi può importare. Meno ancora che quella sventurata di sua moglie abbia per il dolore perso il bambino che insieme aspettavano. Morti che la sinistra italiana sventola come bandiere arcobaleno nei cortei, ma che quando muoiono sul serio s’agitano nel deserto del disinteresse come foglie secche trasportate dal vento.
Stupisce sicuramente meno - lo si dava per scontato - che nella vasta geografia politica che va dai cattocomunisti alla Prodi fino ai comunistiebasta alla Diliberto che nessuno si sia chiesto quale danno politico abbia potuto creare nei delicati equilibri internazionali il «prezzo» pagato dal nostro governo per la sacrosanta liberazione di Mastrogiacomo. Non scandalizzano i milioni di euro che possono essere passati dalla Farnesina all’Afghanistan, mai troppi per una vita umana. Ma quei terroristi riconsegnati ai talebani e ad Al Qaida puzzano ben più dei soldi. Sono un colpo di pugnale sul delicato filo che lega i Paesi occidentali impegnati a far pulizia intorno a Kabul.
D’Alema è uomo politicamente e, per quel che posso giudicare io, forse, anche fisicamente interessante. Ma non è che se una sera porta Condoleezza Rice a cena all’Aquarelle, raffinato ristorante di Washington, fa perdere la testa alla rigida numero due degli Stati Uniti e la convince a pensarla come lui. Lo può far credere ai giornalisti italiani, che lo esaltano come fosse uno statista. Ma egli è il primo a sapere che così non è. E, infatti, dopo essersi preso ventiquattro ore per analizzare lo svolgersi degli avvenimenti e le loro dirette conseguenze, il Dipartimento di Stato americano ci ha duramente criticato - con toni aspri che non hanno precedenti nei rapporti diplomatici tra i due Paesi - per come il governo Prodi e la Farnesina hanno gestito il caso Mastrogiacomo.
C’era da aspettarselo. Washington ha mal sopportato e mai condiviso le nostre valigie di euro portate a Bagdad per liberare le due Simone o la Sgrena. Giudicando impensabile una trattativa economica con il nemico. Ma lo scambio di terroristi è inaccettabile per gli Usa, che già a fatica fingono di sopportare un esercito alleato che si presenta con i fiori dentro i cannoni e se ne sta in disparte lasciando agli altri il «lavoro sporco» della caccia ai banditi. E ancor meno sopportano che un governo come il nostro, più infedele di Gad Lerner, deleghi la liberazione di Mastrogiacomo non agli apparati istituzionali dello Stato bensì a un medico che da anni accusa l’America di tutte le nefandezze possibili.


Come Prodi e D’Alema: criticano la politica estera di Bush (così come sorridevano ironicamente di quella di Berlusconi) e, poi, con una mossa da sciagurati dilettanti permettono la liberazione di cinque terroristi, mettono in grave difficoltà il già debole governo afghano facendo inferocire il proprio popolo e danno uno strappo irrimediabile ai rapporti con gli Usa. E questo lo chiamano un successo.
Nicola Forcignanò

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