Gli dèi, nellantica Grecia, giocavano con il destino degli umani. Zeus giaceva con le fanciulle più belle, scatenando la gelosia di Era. Eracle, leroe tra gli eroi, era per metà umano e per metà divino: il suo vero padre era Zeus, che aveva assunto le sembianze di Anfitrione, il padre terreno di Eracle, per godere le grazie della sua bellissima moglie: fermò il tempo per poterla amare liberamente. Ma il potente Zeus non era il solo, tra gli dèi, a interagire con le vicende umane. Alcuni, in tal proposito, hanno sottolineato una forte umanizzazione nel concetto del divino degli elleni. E del resto, il tipo umano di natura eccezionale, in molti miti, ha più lattitudine a sfidare gli dèi che non a cedere a una remissiva sottomissione alla volontà della legge superiore. Quel che conta, tuttavia, è che i miti greci sono eterni e ancor oggi ci aiutano a comprendere lidentità dellOccidente. Jan Kott (1914-2001), raffinato esegeta dei grandi del teatro di tutti i tempi - da Euripide a Shakespeare - suggerisce questa idea nel suo Divorare gli dèi (Bruno Mondadori, pagg. 310, euro 15), un libro straordinariamente vivo grazie al quale i protagonisti del teatro ellenico recuperano i colori perduti: non più maschere o statue, ma veri e propri archetipi dellumanità.
Dei tanti passi citati, forse il più adatto a riassumere il senso delle pagine di Kott è un frammento del coro dellAntigone: «Alla grandezza umana si accompagna la sventura». I protagonisti delle tragedie greche, usciti dal mito per essere riplasmati nelle opere di scrittori immortali come Euripide, Sofocle, Eschilo, sono specchio dellamarezza della condizione umana. I protagonisti entrano nelle tragedie dopo lesperienza eroica, pura, di Omero, che consegna alla posterità unetà delloro destinata al mito eterno. Leroe omerico vive, combatte, soffre, uccide e muore con dignità. Le divinità sono assolute, severe, ma ancora non giocano crudelmente con il destino degli umani: la dea Atena di Omero non avrebbe mai affermato, come invece fa quella dellAiace di Sofocle «Io so oscurare anche la più brillante delle visioni». UnAtena che ama umiliare il suo nemico, Aiace, leroe assoluto, che in Sofocle trova la più amara delle sconfitte e il suicidio, poiché la sua grandezza sembra non intonarsi più al tempo in cui si trova a vivere: letà delloro è tramontata per sempre.
Il saggio Kott suggerisce che luomo occidentale è figlio del suo antenato greco: ribelle nei confronti di Dio, incapace di sottostare alla finitezza del suo essere, alla mortalità; forte abbastanza da sfidare Dio fino alla rivolta (Prometeo) finisce per perdersi nella miseria delle sue piccole passioni: teme la prospettiva di trasformarsi in unombra che vaga nellAde, mai dimentica del suo passato terreno, più del giudizio di Dio. Unumanità che tenta di divinizzare se stessa perdendo la saggezza omerica, che in Ulisse concentra le qualità delluomo deccellenza: intelligenza e rispetto per gli dèi.
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