E Rifondazione non controlla più i suoi ribelli

Grassi: «Non accettiamo più ordini da D’Alema che ci insulta come ragazzini»

da Roma

Dalla platea di via dei Frentani arriva un allarme rosso per Franco Giordano, Rifondazione e tutto il governo: sulla linea attuale, il partito «non tiene». Al punto che in serata il segretario commenta: «In quella assemblea colgo una soggettività politica che non è tanto legata alla vicenda del decreto legge quanto al rapporto con il governo». In realtà è stato provato di tutto: appelli alla responsabilità, lusinghe, proclami fatalisti, velate minacce. Ma i parlamentari ribelli non mollano, si radicalizzano sempre di più e la base li segue. Ieri, i «ribelli» avevano scelto una sala di media grandezza, per evitare il flop. Ebbene, c’erano 200 posti a sedere in platea pieni, gente nei corridoi, per le scale, in galleria, e persino per strada: 500-600, forse. E soprattutto, come osservava Claudio Grassi: «Più della metà gente nostra». Non solo: moltissimi giovani, militanti Ds, persone non legate alla correnti interne del partito di Bertinotti.
Ed era questo risultato, ovviamente, a galvanizzare i dissidenti di Rifondazione, come lo stesso Grassi, sommerso di applausi quando ha praticamente annunciato che se il testo resta così voterà no: «Credo che esista una cosa molto semplice, in politica, che è la dignità: dopo aver votato per otto volte no, non capisco per quale motivo dovremmo adesso dire sì alla missione in Afghanistan. Perché siamo al governo? Mi dispiace, non ci sto». E ancora: «D’Alema continua ad insultarci, come se fossimo dei ragazzini irresponsabili. Ma chi si si crede di essere? Noi non accettiamo più il principio per cui c’è qualcuno che dà ordini, lui, e qualcuno che li prende, noi». Ancora più netto sull’ipotesi di sanzioni disciplinari: «Scherziamo? Non posso credere - sorride Grassi - che in Rifondazione ci sia chi può sanzionare qualcun altro perché vota no alla guerra». E poi, ironico: «Anche perché il presidente della commissione di garanzia, Guido Cappelloni è della nostra componente. Il vice è della sinistra, quindi...».
Già, Cannavò: era uno dei vincitori, ieri. I leader della sinistra di Rifondazione hanno tirato le fila dell’assemblea senza strafare, facendo lievitare la pluralità delle voci. Un successo: una strategia che erode il consenso dei «governisti» e dei «bertinottiani» senza strappi, per salti progressivi.

Ieri Cesare Salvi, con una incredibile contorsione, ribadiva il suo dissenso, ma invocava la «Fiducia», per essere «costretto» a votare sì al governo. Un pensiero che, segretamente, è lo stesso dei dirigenti di Rifondazione.

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