Ecco perché i disastri danno una spinta all’economia

I primi contraccolpi della Borsa sono stati negativi: ieri Tokyo ha chiuso con un ribasso del 6,18%

Ecco perché i disastri danno una spinta all’economia

Controllare il portafoglio quando si contano i morti è un’azione che può sembrare odiosa, purtroppo però in ogni catastrofe naturale oltre al bilancio delle vittime c’è quello, più freddo dei danni. Va ancora una volta ribadito che, per quanto la cosa possa sembrare assurda di fronte ad immagini sconvolgenti che rimarranno nella storia, con un sisma di violenza così incredibile la distruzione è stata sicuramente contenuta. I video che mostrano i grattacieli di Tokio oscillare come canne al vento valgono più di qualsiasi commento. Tuttavia anche la costruzione più accurata, in caso di eventi estremi su scala planetaria come quelli che si sono abbattuti sulla regione di Miyagi può solo limitare la distruzione, non di certo annullarla.
Per arrivare alle radici della prevenzione bisogna risalire al terremoto più distruttivo degli ultimi anni registrato in Giappone, vale a dire quello che colpì Kobe nel 1995: allora si registrarono circa 6.500 vittime e danni per 80 miliardi di euro, pari a più del 7% del pil italiano. Le oscillazioni di borsa che ne seguirono smascherarono una delle più grandi truffe finanziarie della storia, quella ordita da Nick Leeson, un trader della storica banca inglese Barings, che venne poi liquidata per la simbolica cifra di una sterlina. A seguito di quella tragedia furono varate leggi severissime per elevare ulteriormente lo standard antisismico delle costruzioni e delle infrastrutture, uno sforzo che, quando sarà il tempo dei bilanci, si dimostrerà essersi ripagato molte volte di fronte a questa nuova tragica prova.
Ciò premesso, senza bisogno di vedere nero come invece fa l’economista/catastrofista Roubini, che predice disastri a causa dell’impatto del sisma su un’economia già gravata da un pesante deficit, è facile comunque stimare che il peso del terremoto per il tessuto produttivo giapponese non sarà trascurabile e che il colpo si farà sentire anche molto lontano, ben al di là dell’area del sisma. Di sicuro si prospetta un esborso pesante per le compagnie di assicurazione. È evidente che un disastro naturale in un’area popolosa ed industrializzata è lo scenario peggiore e le prime stime, circolate fra gli assicuratori, sembrano paragonabili solo a quelle record avute a seguito dell’uragano Katrina: si parla infatti di 34 miliardi di dollari, che tuttavia farebbero seguito ad alcuni anni relativamente «tranquilli», che avevano garantito larghi profitti per le compagnie. Si ipotizza persino che dietro alla salita dello yen registrata sui mercati dei cambi vi sia appunto l’acquisto preventivo di valuta da parte delle assicurazioni per i risarcimenti.
Non ci sono poi solo i danni diretti legati alla distruzione di impianti ma anche solo alla semplice necessità di controllarne l’efficienza e la sicurezza prima di poterli riattivare. I sette costruttori di auto giapponesi, ad esempio, hanno bloccato gli stabilimenti produttivi e avvertito la rete di distribuzione negli Usa, ma gli arresti alla produzione per controlli, necessari anche in un’area molto ampia adiacente all’epicentro distruttivo del sisma, avranno un costo difficilmente calcolabile (senza contare la situazione critica della centrale di Fukushima). Quanto alla Borsa ne ha come è ovvio risentito, facendo segnare alla riapertura un ribasso del 6,18%, reazione normale dato che si è avuta distruzione di ricchezza, tuttavia assolutamente isolata e non estesa agli altri mercati che hanno registrato andamenti normali.


Non manca chi, come l’ex consigliere economico della Casa Bianca Summers, fa notare che spesso, nei casi di disastri naturali del passato, ai danni sia seguita una scossa positiva all’economia. Cinico ma storicamente vero.
posta@claudioborghi.com

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