Economia, difesa e immigrazione: il patto di ferro che resiste agli ultrà

Il nostro governo sostiene l’ingresso della Serbia nell’Unione europea e nell’Alleanza atlantica. La Fiat è il primo investitore straniero e oltre 200 aziende italiane hanno aperto stabilimenti

La Serbia, ex pecora nera dei Bal­cani, si sta lasciando alle spalle il pas­sato di guerra e instabilità con l’aiuto dell’Italia.Nell’ultima settimana do­veva arrivare a Belgrado il presiden­te del Consiglio, Silvio Berlusconi, as­sieme a mezzo governo italiano, per rinnovare l’accordo strategico firma­to con i serbi lo scorso novembre. L’operazione alla mano del pre­mier ha fatto slittare il vertice, che si dovrà comunque tenere entro l’an­no. Meglio così: gli ultras serbi che martedì scorso si sono scatenati a Ge­nova, per la partita fra le nazionali, avrebbero creato un danno ancora peggiore mettendo in imbarazzo il governo italiano. Il patto di ferro fra Serbia e Italia ri­guarda l’economia, il contrasto alla criminalità organizzata, l’immigra­zione clandestina, la difesa e la cultu­ra. Gli accordi più importanti preve­dono l­a produzione di energia elettri­ca in Serbia trasferita via collegamen­to sottomarino attraverso l’Adriati­co. La Fiat sta investendo 940 milioni di euro nello storico impianto della Zastava di Kragujevac, che nel 1999 venne bombardata dalla Nato. Mille operai sono già stati assunti, ma la Fiat vuole arrivare ad occupare 2.400 serbi. Con l’indotto si calcola che sa­ranno interessati 30mila lavoratori. In Italia la fetta dura e pura dei sinda­cati storce il naso, ma a Kragujevac si vuole arrivare a produrre 190mila ve­icoli entro la fine del 2011. L’Italia è il secondo partner com­merciale di Belgrado. In Serbia sono presenti oltre 200 imprese italiane con colossi come Banca Intesa, Uni­credit, Delta Generali e Sai-Fondia­ria. Un giro d’affari di 2,4 miliardi di euro che riguarda anche gli stabili­menti di Pompea, Golden lady e Ca­lezedonia. Nella provincia settentrio­nale della Vojvodina cominciano a spostarsi gli imprenditori italiani che avevano delocalizzato le attività in Romania. Meglio se tornassero in Italia per offrire nuova occupazione, ma le imprese sono attratte dalle age­volazioni garantite dal governo ser­bo e dagli accordi di liberalizzazione con l’Est Europa e la Turchia.Non so­lo: dalla Serbia si può esportare, sen­za dazi, verso grandi paesi come la Russia. La collaborazione fra mini­steri dell’Interno ha subito un duro colpo con le violenze scatenate a Ge­nova e le acc­use reciproche sul man­cato allarme preventivo. Il responsa­bile del Viminale, Roberto Maroni, ha sottoscritto dallo scorso anno un accordo per il contrasto alla crimina­lità organizzata e all’immigrazione clandestina. Secondo il responsabi­le del Viminale «l’attività operativa può risultare efficace grazie a un in­tenso scambio di informazioni di po­lizia ed alla costituzione di squadre miste da impiegare sui rispettivi terri­tori nazionali». Una grande collaborazione coin­volge anche la Difesa. A fine giugno il capo di stato maggiore, generale Vin­cenzo Camporini, è stato ricevuto con gli onori militari a Belgrado. Il mi­nistro della Difesa, Ignazio La Russa, si è impegnato ad aprire la strada ai serbi verso la Nato. I corpi speciali ita­liani, in gran segreto, si sono esercita­ti con quelli serbi e gli ufficiali di Bel­grado vengono in Italia. I rapporti personali fra Berlusconi e il presidente serbo, Boris Tadic, so­no talmente amichevoli, da permet­tersi le battute. Lo scorso anno il pre­sidente del Consiglio, rivolgendosi all’ospite, annunciava: «Passo la pa­rola al presidente Clooney... Ehm, Tadic» riferendosi all’indubbia bella presenza del capo dello stato serbo. I rapporti fra Italia e Serbia sono storici. Nella prima guerra mondiale la nostra marina ha salvato l’esercito serbo in rotta. Quando i cacciabom­bardieri della Nato decollavano dal­l’Italia per bombardare i serbi, in dife­sa del Kosovo, a Belgrado l’unica am­basciata dell'Alleanza rimasta sem­pre aperta era la nostra. Dieci anni dopo l’Italia è l'alleato più convinto della Serbia nel suo cammino verso l'Europa unita. Da gennaio i serbi possono finalmente viaggiare senza visti nei paesi Schen­gen. Purtroppo lo hanno fatto anche gli hooligans calati su Genova. Il 25 ottobre il Consiglio europeo dovreb­be esprimersi sulla candidatura di Belgrado. Nonostante i bastoni fra le ruote creati ad hoc dalle violenze de­gli­ultras nazionalisti l'Italia non mol­la. Ci vorrà forse qualche anno in più, ma a Belgrado circola un’idea sugge­stiva.

L’ingresso della Serbia nel­l’Unione europea nel 2014. Il cente­nari­o della tragedia della prima guer­ra mondiale provocata dalla scintilla di Sarajevo, che si trasformerebbe in un segnale di integrazione rivolto al futuro.
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