Sono i fondi di investimento, perlopiù stranieri, i nuovi (per ora silenziosi) padroni di casa delle «ex» banche popolari italiane, costrette a trasformarsi in spa dalla riforma imposta da Matteo Renzi. Era successo lo scorso anno alla Ubi Banca di Victor Massiah, la prima a fare il salto, ed è stato confermato ieri all'assemblea dei soci di Bper e a quella del «nuovo» Banco Bpm, le prime dopo l'addio al voto capitario.
Meno di sei mesi dopo le nozze tra Bpm e Banco Popolare (era il 15 ottobre 2016), i torpedoni che favorivano l'affluenza dei dipendenti all'assise, i capannelli delle associazioni dei soci e dei sindacati del credito, gli ambasciatori della politica locale hanno ceduto il posto al capitale. A una public company dove «il 70% degli azionisti sono fondi italiani ma per la maggior parte internazionali, con loro dobbiamo costruire un rapporto duraturo, perché sono i primi a poter garantire un futuro di crescita», ha dichiarato l'ad Giuseppe Castagna ai circa mille soci accorsi a Novara per approvare il bilancio combinato proforma del 2016 (1,6 miliardi il rosso): era presente il 35% del capitale, di cui il 10% in quota ai piccoli soci (7mila teste considerando le deleghe) e 25% agli investitori istituzionali, tra cui Deutsche Bank, Blackrock, Axa, Pioneer, Vanguard, Standard Life e State Street.
Castagna ha quindi confermato gli «obietti» del piano, che prevedono un utile di 1,1 miliardi nel 2019; fra un mese presenteremo dei risultati trimestrali che sono nella traiettoria tracciata dal piano» ed escluso qualsiasi necessità di aumento di capitale, malgrado gli esami Bce. È inoltre in dirittura d'arrivo l'accordo per cedere 700 milioni di crediti in sofferenza.
Unico azionista in chiaro sopra il 3% è ad oggi Norges Bank, cui seguono le Fondazioni di Lucca (2% circa), Verona (0,4%) ed Alessandria (0,3%). È da qui che ora si parte per provare a costruire un «nocciolo duro», coinvolgendo anche imprenditori come soci stabili di lungo periodo. «Nessuno punta a costruire zoccoli duri - ha detto il presidente Carlo Fratta Pasini - ma altra cosa è avere compagni di strada stabili nel nostro percorso, è a questo che miriamo». L'idea è far nascere delle associazioni di azionisti, «qualcosa di analogo a Ubi», ha concluso Fratta Pasini.
Simile il quadro a Bper, di cui i fondi posseggono quasi la metà del capitale (40-45%) e che se ieri avessero voluto, avrebbero potuto prendere la maggioranza del cda di Modena: in palio c'era la nomina di 8 dei 15 consiglieri, in attesa del ricambio completo atteso nel 2018.
Alla resa dei conti però, la «lista 1», proposta dell cda ha preso ha preso più del 70% delle preferenze quella di Assogestioni il 29,95%. In sostanza i fondi hanno votato a favore della gestione dell'ad Alessandro Vandelli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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