All'interno del diritto tributario sta emergendo con una certa insistenza un fenomeno giuridico piuttosto preoccupante che chiama in causa fisco e contribuenti: la manipolazione delle regole inerenti al cosiddetto onere della prova. Detto altrimenti, ''oneri probatori'' illogici o impossibili da assolvere vengono attribuiti, in maniera del tutto impropria, ai contribuenti. Un esempio tanto recente quanto eclatante arriva dall'ordinanza 25501/2020 della Cassazione, la quale ha stabilito che il socio di una società a ristretta base partecipativa debba fornire una prova contraria anche in ragione dei costi indeducibili per la stessa società.
Che cos'è l'onere della prova
Andiamo con ordine e cerchiamo prima di tutto di capire che cos'è l'onere della prova. Senza usare termini troppo tecnici, tale concetto definisce uno dei principi più importanti del processo civile. Affinché si possa ottenere la tutela di un diritto, è necessario fornire al giudice le prove di quanto si sta dicendo. In altre parole, chi chiede alla giustizia un provvedimento di condanna nei confronti di terze parti o una sentenza che annulli un contratto, oppure che accerti l'esistenza di una situazione, deve accompagnare l'eventuale lesione di un proprio diritto con alcune prove.
Le suddette prove serviranno non solo a chiarire che il suo diritto esiste. Ma stabiliranno anche se c'è stato il comportamento illecito di un altro soggetto, e se questo comportamento possa, in qualche modo, aver leso un diritto. L'articolo 2697 del Codice civile parla di ripartizione dell'onere della prova nel rapporto tributario: "Chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento".
La posizione del fisco
Quanto appena spiegato vale anche nel caso del fisco. Ossia, anche l'Agenzia delle Entrate deve fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. Come ha sottolineato Il Sole 24 Ore, con l'emanazione dell'atto di accertamento, l'amministrazione assume però la posizione di creditore nei confronti del contribuente. La conseguenza più eclatante è che la stessa amministrazione rivestirà, in sede giudiziale, il ruolo di attore sostanziale sul quale graverà l'onere di provare la fondatezza della propria pretesa.
In tal caso, il contribuente potrà difendersi allegando fatti diversi – impeditivi, estintivi, modificativi – che avrà poi l'onere di provare. Ma lo stesso contribuente proporrà il ricorso contro l'atto del fisco per evitare che quell'atto diventi definitivo. Dunque, in una situazione del genere, "agisce" anche se in realtà si limiterà a "resistere", dal momento che promuovere l'azione non può tradursi nell'onere di dover provare i fatti costitutivi di una pretesa non propria.
Oneri invertiti
Il punto è che, in presenza di prova presuntiva, il principio che dovrebbe far gravare l'onere della prova sul fisco risulta sovvertito. Cioè si inverte e, a fronte di presunzioni legali relative, queste attribuiscono l'onere di prova al contribuente.
L'onere di prova, a regola, dovrebbe gravare sugli uffici.
Molto spesso si leggono tuttavia pronunce nelle quali l'onere della prova spetta al contribuente come nel caso, ad esempio, della deducibilità dei costi nel reddito d'impresa. Il punto è che quest'ultimo, quasi sempre, non ha strumenti per dimostrare un bel niente, soprattutto nel caso di non aver percepito l'utile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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