Caltagirone esce dal capitale di Suez

Ceduto il 3,5% dopo l'annuncio dell'Opa di Veolia, con una plusvalenza di 50 milioni

Caltagirone esce dal capitale di Suez

Francesco Gaetano Caltagirone ha ceduto il 3,54% di Suez, uscendo dal gruppo francese che in Italia è il secondo azionista, con il 23,3%, di Acea, la multiutility di Roma. Di conseguenza Francesco Caltagirone (figlio dell'Ingegnere) si è dimesso dal consiglio e dal comitato esecutivo di Suez. Il gruppo Caltagirone ha confermato l'operazione al Giornale. La cessione è avvenuta qualche settimana fa, dopo l'annuncio dell'Opa totalitaria di Veolia su Suez (che fa parte del gruppo Engie), che ha fatto lievitare il prezzo del titolo dai 10-12 euro fin sopra i 16.

Per Caltagirone, dal lato finanziario, è stato un ottimo affare: il 3,54% derivava dalla conversione in azioni Suez nel 2016 di una parte della quota detenuta direttamente in Acea, il 10,8%, con un premio che ha generato una plusvalenza di circa 118 milioni per la holding dell'Ingegnere. Mentre con la vendita recente della quota Suez la plusvalenza è stimata nell'ordine di altri 50 milioni.

Dal lato strategico le cose sono più complesse: Caltagirone entra in Suez nel 2016 - quando Virginia Raggi diventa sindaco (il Comune di Roma controlla Acea con il 51%) - per alleggerire la quota diretta in Acea (dal 15,8 al 5%), diventando però il terzo socio del gigante transalpino (dopo l'Eliseo e gli spagnoli di CriteriaCaixa). Una scelta strategica per un'operazione che doveva molto all'ottimo rapporto tra Caltagirone e Jean-Louise Chaussade, il numero uno del gruppo che ha segnato le scelte strategiche energetiche degli ultimi anni e che ha coinvolto i Caltagirone ai massimi livelli decisionali. Chaussade ha però lasciato Suez a fine 2019, sostituito da Bertrand Camus, un manager che avvia percorsi diversi e che, a inizio 2020, inserisce nella prima linea Julian Waldron, con il ruolo di vicepresidente e con la delega per la finanza. La svolta, secondo fonti bancarie, non avrebbe avuto l'appoggio di Caltagirone. Il quale, con l'arrivo dell'Opa di Veolia, annunciata nel settembre scorso, ha approfittato della ripresa del titolo per chiudere la sua avventura in Suez. Secondo fonti finanziarie romane, invece, l'uscita da Suez con la finestra dell'Opa di Veolia non è che la fine di un ciclo strategico avvenuta grazie a un'ottima opportunità. Tanto che, notano le stesse fonti, il rapporto tra Caltagirone e Suez in Acea resta ottimo, con la sola differenza che dopo essersi tenuto per 4 anni al piano di sopra, torna ora a svolgersi a quello di sotto.

Di sicuro la svolta manageriale in Suez, il cui vertice si sta opponendo all'Opa Veolia, non è però avvenuta in maniera indolore, soprattutto in Francia. Intanto perché il governo, che controlla Engie, non opponendosi all'Opa di Veolia, non ha difeso il management di Suez. Ma poi perché l'influente Waldron è arrivato al cuore di Suez portandosi dietro i riflessi legati al suo precedente incarico (2008-2017) come direttore finanziario di Technip. Una società francese indagata e poi sanzionata dal Dipartimento di Giustizia Usa per violazioni reiterate della normativa anticorruzione FCPA della sua filiale statunitense - 296 milioni di multa - nel cui board sedeva lo stesso Waldron.

I documenti statunitensi raccontano di pagamenti ad attività illegali in Brasile tramite società in paradisi fiscali; nello specifico si parla di mazzette per decine di milioni di dollari pagate a funzionari della statale verde-oro Petrobras e del PT, il Partito dei Lavoratori degli ex presidenti Lula da Silva e Dilma Rousseff. Movimenti di cui Waldron, all'epoca anche amministratore della filiale Usa della società transalpina, non si è evidentemente accorto.

Nella Technip Usa, dal 2011 al 2014, è stato assunto Daniel Duque, figlio di Renato de Souza Duque, il più importante imputato nello scandalo tangenti di Petrobras.

E dell'attività della filiale statunitense di Technip in Brasile si è parlato ancora nel giugno scorso, quando in seguito agli accordi di risarcimento connessi alla Lava Jato (la Mani Pulite brasiliana in cui la Technip Usa è stata coinvolta), la società ha restituito a Petrobras 265 milioni di reais, quasi 100 milioni di euro.

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