Chimica in retromarcia, pesa ancora l'energia

Il sistema italiano segnerà una flessione del 9%. Buzzella nuovo presidente di Federchimica

Chimica in retromarcia, pesa ancora l'energia
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«Nel 2023 l'industria chimica in Italia subirà un calo della produzione stimato in un -9%: è un pessimo segnale per tutto il sistema economico, sociale e ambientale». È quanto ha evidenziato Francesco Buzzella, eletto ieri presidente di Federchimica dall'assemblea dell'associazione confindustriale riunita ieri a Milano. Con un valore della produzione di oltre 66 miliardi di euro nel 2022, la chimica è la quinta industria (dopo alimentare, metalli, meccanica, auto e componentistica) in Italia, con circa 2.800 imprese che occupano oltre 112mila addetti. Nel 2023 il saldo commerciale, pur avendo visto un parziale riassorbimento rispetto ad un 2022 segnato dall'esplosione dei costi energetici, mostra un significativo deterioramento nel confronto con il 2021. Nel 2024 si stima un recupero modesto della produzione chimica in Italia (+1%) e comunque soggetto a rischi al ribasso in relazione all'evolvere dei costi energetici e del quadro economico complessivo. La chimica è presente nel 95% di tutti i manufatti di uso comune e «contribuisce ad alimentare la competitività del Made in Italy e di tutta l'industria», ha sottolineato Buzzella rimarcando che «la transizione energetica, di grande rilevanza per un settore energy intensive come la chimica (che utilizza oltre il 30% dei consumi fossili in Italia, di cui il 60% serve come materia prima per la chimica di base) dovrà essere sostenibile socialmente ed economicamente, pena il nostro progressivo impoverimento». Prezzi dell'energia troppo alti, ha proseguito, «costringeranno molte delle nostre aziende a produrre fuori dall'Europa, una concorrenza sleale verso le aziende europee e anche tra i Paesi europei stessi». Ecco perché è necessario «estrarre tutto il gas disponibile in Europa e in Italia, dove l'estrazione si è ridotta a un decimo rispetto agli anni '90».

Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, nel suo intervento ha rilevato che «servono 3.500 miliardi di investimenti per la transizione, 650 solo per l'Italia. Tolti quelli del Pnrr, famiglie e imprese dovrebbero spendere 580 miliardi. Non e pensabile».

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