La Cina non corre più: crescita più bassa da 26 anni nel 2016

Giù import ed export, preoccupa la bolla immobiliare e i negoziati tra Londra e Ue

Rodolfo Parietti

Il presidente cinese Xi Jinping, l'uomo che è un ossimoro vivente essendo al contempo comunista e globalista, deve ancora fare i conti con il passo lento di crescita del Dragone: nel 2016 il tasso di sviluppo è stato del 6,7%, il più deludente degli ultimi 26 anni, seppur in linea con le previsioni del governo. E in quel passo di espansione ci sono tutti gli squilibri che Pechino non è ancora riuscito a correggere. A cominciare dal settore immobiliare, uno dei motori dell'economia del Paese orientale, ma a rischio bolla. C'è inoltre da governare l'espansione del debito, schizzato lo scorso anno al 277% del Pil rispetto al 254% di un anno prima, e la flessione accusata sia dalle esportazioni (-7,7%), sia dell'import (-5,5%). Nonostante la bilancia commerciale sia ancora in attivo per quasi 510 miliardi di dollari, l'interrogativo è in quale misura l'arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, con l'eventuale introduzione di barriere protezionistiche, potrà impattare sul made in China (che dagli Usa ha incassato nel 2016 385 miliardi) in un momento in cui non è stato affatto completato il traghettamento da un'economia basata essenzialmente sull'export a una meglio bilanciata sul lato dei consumi interni e dei servizi.

Dopo i toni duri delle scorse settimane contro il tycoon, Pechino sembra però ora correggere il tiro. Le due sponde del Pacifico, ha sottolineato la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, «dovrebbero essere amici e partner piuttosto che oppositori o nemici». Hua ha ricordato l'importanza per Pechino e Washington di rispettare gli interessi l'uno dell'altro ed evitare problemi di comunicazione. Secondo Kevin Lai, capo del settore ricerche per l'Asia di Daiwa Capital Markets, l'applicazione di dazi da parte degli Stati Uniti potrebbe causare un crollo dell'export cinese diretto negli Usa dell'87%, e in generale il commercio estero della Cina potrebbe subire un calo del 9%, nel caso di dazi commerciali statunitensi.

C'è inoltre un altro rischio per l'ex Celeste Impero. «È la possibilità che il rapido aumento previsto dei tassi di interesse degli Stati Uniti possa intensificare i deflussi di capitali dalla Cina e un aumento dello stress sul mercato finanziario locale», afferma Bill Adams, economista senior presso Pnc Financial Services Group.

Ma anche il fronte europeo rischia di essere complicato se i negoziati tra Londra e Bruxelles per la Brexit diventeranno terreno di scontro.

Pechino teme di perdere un alleato nell'Unione sul piano del libero commercio e teme probabilmente che la caduta della sterlina renda meno convenienti le merci cinesi.

I primi segnali degli effetti provocati dalla svalutazione del pound si sono già visti con il calo inaspettato delle vendite al dettaglio dell'1,9% in dicembre, il mese in genere preferito per lo shopping. «Speriamo che Gran Bretagna e Unione Europea possano raggiungere un accordo win-win attraverso le trattative», ha affermato Hua Chunying.

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