Cosa può fare il Fisco anche dopo 8 anni: occhio ai controlli

La Suprema corte dà ragione all'Agenzia delle entrate, arrivando ad equiparare due tipologie di credito di imposta tenute da sempre ben distinte dal legislatore

Cosa può fare il Fisco anche dopo 8 anni: occhio ai controlli

Come stabilito dalla Corte di Cassazione attraverso l'ordinanza 24093 del 30 ottobre 2020, il termine di decadenza di otto anni per gli accertamenti relativi ai crediti inesistenti viene esteso anche ai cosiddetti crediti non spettanti.

La decisione arriva a seguito dell'impugnazione dell'atto di recupero di un credito di imposta dell'agenzia delle Entrate da parte di un contribuente che contestava il grande ritardo nella notifica del provvedimento, ben oltre la decadenza dello stesso. Il cittadino aveva rilevato infatti che il termine ultimo della comunicazione sarebbe dovuto essere il 31 dicembre del quarto anno successivo all'emissione dell'atto (Articolo 46 Dpr 600/73), periodo tra l'altro non raddoppiabile fino a otto anni per il fatto che non fosse rilevabile alcun elemento di rilevanza penale nella violazione contestatagli. Nei primi gradi di giudizio, i giudici avevano confermato la tesi avanzata dal contribuente.

Per nulla scoraggiata, l'Agenzia delle entrate aveva successivamente fatto ricorso in Cassazione, convinta del fatto che la norma fosse stata applicata in modo completamente errato. L'Ente lamentava infatti che non fosse stata applicata la regola prevista dall'articolo 27 nei commi 16 e 17 (Dl 185/2008), che stabiliva invece un termine di decorrenza di otto anni per gli atti di recupero crediti. Il provvedimento citato, tuttavia, si riferiva specificatamente ai crediti inesistenti, non a quelli non spettanti come nel caso in questione: un aspetto sottolineato più volte dai legali del contribuente. E qui arriva l'inversione della Cassazione, secondo cui la norma degli otto anni per il recupero di crediti inesistenti compensati non fosse stata prodotta per creare l'inesistenza del credito come categoria distinta da quella della non spettanza, ma solo al fine di permettere di avere più tempo per effettuare delle verifiche: ecco perché tale distinzione risulterebbe priva di fondamento logico-giuridico per la Suprema corte.

Neppure in questi casi, quindi, è applicabile il periodo di soli 4 anni previsto dalla norma (Art. 43 Dpr 600/73), ma si può contare direttamente sugli 8 anni. Una decisione che fa discutere, proprio per il fatto che per crediti inesistenti e non spettanti proprio la legge abbia creato un evidente distinguo: sia le sanzioni amministrative che quelle penali previste, infatti, sono ben differenti. Il credito inesistente comporta sanzioni dal 100 fino al 200% con possibilità di reclusione da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni, quello non spettante si ferma al 30%, mentre è prevista una sanzione penale dai 6 mesi ai 2 anni.

Due situazioni, pertanto, ben distinte dal legislatore, che aveva usato il termine "inesistenti" proprio per creare una categoria a sè stante. Le barriere di tale categoria, tuttavia, sono state abbattute con l'equiparazione da parte dei giudici della Cassazione, creando una forte contraddizione nell'ordinamento.

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