Euro salvo: il problema non era Roma

Il rischio Grecia si allontana, lo spread cala: si chiude il cerchio di una crisi che è sempre stata europea e non italiana

Euro salvo: il problema non era Roma

La soluzione favorevole della crisi greca ha generato un ribasso nello spread dei titoli del debito pubblico italiano e spagnolo, perché ha dimostrato che l’euro non crolla, come si diceva correntemente negli Usa e che l’Unione monetaria europea funziona anche con strumenti (apparentemente) molto limitati, come quelli del Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria (Fesf) e della Bce che hanno assorbito una buona parte del debito greco. Inoltre, la soluzione positiva di questa crisi ha dimostrato che gli Stati membri sanno fare il loro dovere. Lo fanno anche i più deboli come la Grecia, in cui non solo i contribuenti e i pensionati, ma anche creditori privati del debito pubblico hanno accettato dei sacrifici finanziario. Ora ci si sta ricredendo sull’euro a livello internazionale e di operatori finanziari. Perciò non c’è più un’alta valutazione del rischio che l’Italia o la Spagna escano dall’euro e non paghino il proprio debito in euro, ma in monete nazionali svalutate.
L’impatto benefico sullo spread dei titoli italiani fa notare come lo scorso anno la forbice tra Btp e Bund dipendeva non tanto da colpe del governo in carica allora, quello di Silvio Berlusconi, quanto da fattori internazionali esogeni e che la nostra migliorata situazione dipende dalla continuità della politica finanziaria e di riforme di questo governo con il precedente, per adempiere alle azioni richieste dalle autorità europee.
La verità è che la crisi greca, secondo la maggioranza degli osservatori internazionali, poteva generare un quadro tragico, con il fallimento dello Stato greco oppure con la fuoriuscita di Atene dall’euro. Si è risolta, invece, con un finale positivo, perché più dell’80% dei creditori privati (banche, fondi di investimento, assicurazioni) ha accettato il cambio (detto swap) dei loro titoli pubblici ellenici per 170 miliardi, con nuovi titoli trentennali a un basso tasso con una perdita valutabile nel 40% del loro precedente credito. Per altro molti di loro avevano comprato questi debito perché rendeva molto e, quindi, già includeva una quota di compenso per l’eventuale sacrificio. I creditori sotto la legge greca (di nazionalità ellenica od operanti nel Paese, come varie grandi banche tedesche, francesi, inglesi e degli Usa) hanno aderito all’85%, mentre quelli internazionali solo al 65%. Ma i primi detenevano 150 miliardi, i secondi solo 20, perché durante lo scorso anno le banche tedesche, francesi e americane che possedevano titoli ellenici, a anche al di fuori delle filiali in Grecia li avevano venduti e la Bce ne aveva comprati 50 miliardi, per altro al 60% del loro valore.
In cambio di questo alleggerimento del debito greco dei privati di circa 100 miliardi (il 60% di 170), il Fesf e il Fondo monetario hanno concesso ad Atene un nuovo prestito di 130 miliardi al 4%, con una ripartizione per cui il Fesf dà l’80%, pari a 104 miliardi, e il resto li dà il Fondo monetario che, dunque, rimane in seconda fila. A causa del fatto che l’83% dei creditori privati ha accettato volontariamente il cambio (swap) dei titoli vecchi con quelli nuovi, che secondo le stime attuali valgono la metà, non si può dire che lo Stato greco sia fallito. Infatti, è vero che rimane un 17% di creditori privati che non ha accettato lo swap, ma essi saranno costretti a subirlo perché la Grecia ha varato una legge per cui, quando una maggioranza dei creditori pari almeno al 75% aderisce a uno swap, il restante 25% deve accettare questa decisione. Ora il debito greco è per il 60% nelle casse del Fesf, del Fmi e della Bce (che in cambio dei precedenti 50 miliardi con un’operazione precedente all’intesa ne ha accettati 30 dei nuovi, rimanendo senza perdita né guadagno). E se Atene nel 2012 avrà bisogno di un nuovo aiuto, l’onere sarà di questi soggetti internazionali. E noi ora abbiamo meno rischio di prima, ma questo non è cessato.

La speculazione finanziaria internazionale ora rivolge l’attenzione a Stati come il Portogallo che fanno fatica a praticare il rigore perché non abbastanza competitivi per stare nell’Eurozona. Ma resta il fatto che ora è più facile affrontare le riforme necessarie, e che la demonizzazione di Berlusconi era basata su un interessato e provinciale strabismo.

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