Fiat, per Marchionne la pazienza è finita

Nessun commento dell'ad del Lingotto all'obbligo di assunzione dei 145 operai Fiom. Ma ora si teme il blocco degli investimenti

Fiat, per Marchionne la pazienza è finita

Torino ha paura, gli operai di Fiat Auto tremano. Il silenzio di Sergio Marchionne sulla senten­za del Tribunale di Roma, che ha accolto il ricorso della Fiom, è as­sordante. L’amministratore dele­gato della Fiat si trova ancora ad Auburn Hills, il quartier generale della Chrysler negli Stati Uniti, e da lì continua a seguire il botta e ri­sposta sul verdetto che impone al Lingotto l’assunzione nello stabi­limento campano di 145 operai iscritti alla Fiom. Marchionne ha sempre detto che, per portare a ter­mine il progetto Fabbrica Italia e aumentare la produzione di auto nel Paese, la governabilità delle fabbriche sarebbe stata un punto fermo. Stesso discorso a proposi­to degli accordi presi con i sindaca­ti firmatari del contratto Fiat (tut­te le sigle metalmeccaniche eccet­to la Fiom).

Dunque, per ora nessuna rea­zione. E nessuna accusa, come era accaduto in altre occasioni, al sistema Italia. A dominare è il si­lenzio. L’impressione è che Mar­chionne, che rientrerà in Italia a metà della prossima settimana, stia assistendo da spettatore al di­battito che anima le pagine dei giornali e i talk show televisivi. Da una parte chi plaude alla senten­za del Tribunale di Roma, dall’al­tra chi la critica e stigmatizza la mancanza di una linea comune tra i giudici nella guerra tra la Fiom e la Fiat:c’è chi dà ragione al sindacato «rosso», chi al Lingotto e chi passa la patata bollente alla Corte costituzionale.

Intanto, negli ambienti istitu­zionali e politici torinesi si avverte una forte tensione. «È una senten­za tombale per il sistema indu­striale italiano, si sta mettendo se­riamente a rischio la libertà d’im­presa», tuona Enzo Ghigo, coordi­natore regionale del Pdl. In que­ste ore, poi, si è sparsa anche la vo­ce che la risposta di Marchionne potrebbe arrivare tra qualche gior­no. Addirittura qualcuno ipotizza un blocco degli investimenti già decisi. Voci che a Mirafiori fanno gelare il sangue agli operai, ormai pronti a ripartire con i nuovi suv compatti targati Fiat e Jeep.

Per Marchionne, del resto, l’uni­verso Fiat-Chrysler non ha più confini e spostare una produzio­ne da una parte all’altra del mon­do non è un problema. Lo ho già detto e anche fatto:la 500L,all’ori­gine destinata a Mirafiori, si è inve­ce imbarcata per la Serbia; il cam­bio euro/ dollaro ha tenuto fino al­l’u­ltimo in sospeso il rilancio di Mi­rafiori; Termini Imerese ha chiu­so nei tempi previsti e la linea di montaggio della nuova Lancia Yp­silon è stata trasferita in Polonia. È delle scorse settimane, poi, l’an­nuncio che l’erede della Punto è fi­nita nel freezer.

Insomma, quello che dice, Marchionne fa, senza guardare in faccia a nessuno. Ec­co perché a Torino, soprattutto, ma anche nel resto del mondo le­gato a Fiat Auto, questo silenzio pesa come un macigno. Qualcu­no ritiene che la sentenza su Pomi­gliano possa veramente spezzare la corda,con l’aiuto-come scrive­va ieri Il Foglio- della combinazio­ne tra sindacalismo antagonista e magistrati solidali. Alla quiete, questa volta, rischia di seguire una vera tempesta.

Pensierino di Magna e Bmw sulle aree dismesse

A Torino e dintorni ci sono di­verse aree industriali dismesse (ex Viberti, Germagnano, parte di Mirafiori) o che lo potrebbero di­ventare (de Tomaso). Sembra che qualcuno ci stia facendo un pen­sierino.

L’austriaca Magna avreb­be messo gli occhi proprio sulla de Tomaso, tanto da inviare alcu­ni suoi emissari in missione. E an­che Bmw, sembra, si sarebbe in­formata per insediare nel territo­rio un proprio sito logistico. A Tori­no, da anni, è presente Gm Power­train con un proprio centro per la progettazione di motori.

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