Rivoluzione Fisco: ecco quando l'accertamento è nullo

Gli atti di accertamento possono diventare nulli se il contribuente non viene avvisato: è questo il "passo" che il Fisco si prepara a fare a favore dei cittadini. Ecco cosa dice la nuova proposta di riforma

Rivoluzione Fisco: ecco quando l'accertamento è nullo

Parte la rivoluzione del Fisco ma "all'incontrario", a favore cioé del contribuente: prima di spedire un atto di accertamento, l'Agenzia delle Entrate dovrà ascoltare cos'ha da dire il cittadino oggetto della contestazione e valutare se ci sono gli estremi per procedere o meno.

Cosa dice la proposta di riforma

Se ci pensate, è una novità senza precedenti nel panorama fiscale: i due nuovi commi legislativi sono stati inseriti all’interno delle proposte di riforma del processo tributario elaborate per il governo dalla Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria. E che, se dovessero entrare in vigore, cambierebbero per sempre i rapporti tra Fisco e contribuente dando, finalmente, un po' di potere a quest'ultimo. "Il contribuente ha diritto di partecipare al procedimento amministrativo diretto alla emissione di un atto di accertamento o di riscossione dei tributi - si legge sui commi - L’atto emesso in violazione del comma precedente è nullo".

Il perché di questa scelta

Le proposte della Commissione dovrebbero essere contenute all’interno della delega fiscale che il governo vuole approvare entro la fine di settembre come previsto dagli impegni presi con l’Europa nel Recovery Plan. La domanda sorge spontanea: perché la Commissione ha deciso di fare questo passo in favore dei contribuenti? La ragione principale è provare a ridurre, alla base, il contenzioso tributario tra il Fisco e i cittadini che pagano le tasse: se il contribuente ha la possibilità di difendersi prima che l’atto di accertamento o di riscossione diventi definitivo, è probabile che le cause tra amministrazione e cittadini si riducano.

Cosa dice l'ordinamento italiano

Molti non sanno che in realtà il Fisco, prima di emanare un atto, dovrebbe già da tempo ascoltare il contribuente: lo dice l'ordinamento italiano con una legge del 1997 che, come spesso accade, non viene applicata e rimane soltanto sulla carta. Come riporta Il Messaggero, la norma in vigore afferma che se l’accertamento è "parziale", il Fisco non è tenuto al contraddittorio con il contribuente. In questo modo, quindi, agli uffici dell’amministrazione è sempre bastato “qualificare” come parziali praticamente tutti gli accertamenti per evitare il confronto preventivo. Anche perché, per i contribuenti, la strada del contenzioso è generalmente “costosa” e dispendiosa. L’Unione nazionale delle Camere degli avvocati tributaristi (UNCAT) afferma che anche quando ha ragione, il contribuente si vede spesso "compensate" le spese di giudizio: questo significa che i soldi spesi per l’avvocato e per il giudizio stesso, non vengono caricati in campo al Fisco ma rimangono a carico di chi ha attivato il contenzioso anche se alla fine avrà avuto ragione.

L’ultima relazione annuale del ministero dell’Economia di giugno 2021 afferma che, nel 2020, il 30.3% dei contribuenti è stato costretto a sostenere le spese contro il 14,8% dell’Agenzia delle Entrate ma che poi, le stesse spese, sono state compensate nel 54,9%. Per quanto riguarda le Commissioni regionali, le rispettive percentuali sono il 27,1% e il 12,2% e la compensazione è avvenuta nel 60,8% dei casi.

Per ridurre il contenzioso, la Commissione ha anche proposto che in primo grado, prima di avviare il giudizio, il giudice possa tentare una conciliazione tra le parti: chi la rifiuta potrebbe vedersi costretto a pagare le spese del giudizio con un aumento del 50%.

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