«Uno storico accordo su un'architettura fiscale internazionale più stabile ed equa». Il documento finale del G20 di Venezia, guidato dal ministro dell'Economia Daniele Franco, segna un passaggio fondamentale per l'approvazione globale della global minimum tax, un'aliquota minima del 15% da applicare del 2023 sui profitti delle multinazionali (non solo giganti come Google e Amazon) che registrano in un singolo Paese un rapporto utili/ricavi superiore al 10%. La tassa si pagherà dal 2023 sui profitti eccedenti la soglia limite e il gettito atteso a livello globale è di 150 miliardi di dollari (2,7 miliardi di euro per l'Italia).
E, mentre le 20 grandi economie della Terra cercavano di formalizzare l'intesa in un documento (la ratifica finale dovrebbe avvenire nel mese di ottobre), alla Giudecca si sono verificati scontri tra circa mille manifestanti «ecologisti» e la polizia. Le forze dell'ordine hanno disperso i partecipanti alla protesta, rispondendo al lancio di bottiglie e fumogeni. L'intenzione dei contestatori era dare vita a un'azione dimostrativa fino all'Arsenale, dove era in corso il summit, per dire no allo sfruttamento turistico di Venezia e allo «strapotere della finanza fossile».
Con l'accordo sulla tassazione delle grandi multinazionali «la concorrenza fiscale non viene abolita ma in qualche modo regolata», ha precisato Franco nella conferenza stampa conclusiva. L'auspicio, ha aggiunto, «è che i Paesi che fino a ora hanno detto no all'accordo cambino parere». A livello Ocse sono tre i Paesi europei che finora hanno detto «no» e sono Ungheria, Estonia e Irlanda che sarebbero costrette ad alzare le loro attuali aliquote, mentre nel resto del mondo tra i contrari spiccano Perù, Kenya, Nigeria e Sri Lanka. Durante il G20 ha tenuto un atteggiamento prudente il ministro delle Finanze britannico, Rishi Sunak, restando tra i promotori ma pronto ad approfittare dei Paesi che intendono applicare aliquote superiori alla minima. Tra queste la Francia. Il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, ha sottolineato come «Francia, Germania e Stati Uniti sono d'accordo che sia necessario essere ambiziosi e avere un'aliquota più alta del 15 per cento».
«Un accordo su una tassa globale sulle multinazionali è buono per tutti i governi e aiuterà a far crescere il gettito fiscale chiudendo una corsa al ribasso fra i Paesi nel tagliare le aliquote fiscali per le imprese», hanno dichiarato all'unisono in una conferenza stampa congiunta il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, è il segretario al Tesoro statunitense, Janet Yellen, che ha ribadito come le remore dei Paesi «che resistono all'accordo saranno affrontate nei mesi prossimi». Su questo fronte si è impegnato a lavorare «già domani in sede di Eurogruppo» il commissario all'Economia, Paolo Gentiloni. «Il nostro messaggio è molto semplice: non imponiamo un'armonizzazione della tassazione minima a tutti i Paesi del mondo, ma continuerà ad esserci competizione fra sistemi economici», ha precisato rimarcando che «mi sorprenderebbe che cambiasse la soglia del 15%». Il commissario si è trovato nella posizione più scomoda tra quelle dei partecipanti al G20. Da una parte, ha dovuto ribadire la necessità di dialogare con Irlanda e Lituania (che sono Paesi dell'area euro) nonché con l'Ungheria, dall'altro dovrà fronteggiare il pressing francese e quello del vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, che ha sostenuto come global minimum tax e web tax non siano alternative ma possano coesistere.
Parole che hanno irritato Yellen che ha favorito l'intesa proprio per evitare doppie tassazioni sui giganti hi-tech. E non è finita. La direttrice dell'Fmi, Kristalina Georgieva, ha chiesto un «forte segnale sui prezzi delle emissioni di CO2». Nuove tasse green sono in arrivo.
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