Generali-Axa non scalda il mercato

L'arrivo di SocGen al 4,2% riaccende le ipotesi. Ma sarebbe un gruppo «troppo Ue»

di Marcello Zacché

Parlare di una scalata alle Generali sarebbe fuori luogo. Ma che l'assetto dell'unica società finanziaria italiana di peso internazionale sia in evoluzione è un fatto. E che in questa circostanza possano nascere nuovi appetiti è sotto gli occhi di tutti.

La comparsa di Société Générale nell'azionariato con il 4,2% (ancorché con una quota di posizioni a termine), al secondo posto dietro Mediobanca che detiene il 13,2%, è l'ultima novità di un trend in atto da qualche tempo: sono francesi anche il secondo azionista di Mediobanca con l'8%, Vincent Bolloré, e Jean Pierre Mustier, neo ad del primo socio di Piazzetta Cuccia, Unicredit, con l'8,7%; e sono francesi anche il nuovo ad delle stesse generali, Philippe Donnet, oltre ad alcuni manager chiave del gruppo. Tutti provenienti da Axa, il colosso assicurativo transalpino che sono almeno 20 anni che culla il desiderio di unirsi alle Generali. Lo ripeteva, quando era presidente a Trieste, Antoine Bernheim, uno che conosceva questo mondo come nessun altro.

Tra tutti i suddetti transalpini esistono relazioni strette. Ci sono tra Bolloré e SocGen, che ha sostenuto il finanziere in Vivendi dove è socia con il 3%; ci sono tra Bolloré e Donnet, che sedeva nel cda di Vivendi; ci sono tra Donnet e Mustier, che sono amici e soci nella stessa società di private equity francese Hdl (che ha lo stesso Donnet tra i fondatori) insieme, tra l'altro, al grande vecchio di Axa (oggi presidente del consiglio di sorveglianza) Claude Bebear. E ci sono strette relazioni anche tra ScoGen e Mustier, che era uno dei suoi più noti top manager.

Di Axa-Generali non se n'è mai fatto nulla. Ma va da sé che oggi quelle voci siano tornate, alimentate da chi mette insieme tutti i nomi francesi fin qui fatti, insieme con la differenza enorme di valori in campo: la compagnia francese capitalizza oggi tre volte quella triestina, mentre dieci anni fa la differenza era si è no del 30%. In altri termini Generali è diventata preda come mai prima d'ora.

È anche vero, però, che molti osservatori considerano il matrimonio Axa-Generali come poco virtuoso. Non tanto per questioni antitrust, quanto per la forte esposizione che un tale gruppone si troverebbe ad avere nella vecchia Europa rispetto ai Paesi emergenti. Non a caso ieri il mercato non ha reagito più di tanto: il titolo triestino è cresciuto dell'1,4% in linea con il mercato e Axa, a Parigi, ha fatto +1%. SocGen ha ieri chiarito che la partecipazione in Generali «risulta da operazioni realizzate per conto di clienti nel quadro delle attività di mercato» della banca. Una dichiarazione che non aggiunge o toglie nulla alle ipotesi più varie.

La realtà è che Generali resta alla ricerca di una cura per risollevare le quotazioni del titolo, praticamente ferme al livello 11-12 euro dove le aveva trovate Mario Greco al suo arrivo, 4 anni fa. E molti osservatori del mercato sono oggi scettici sullo stesso piano che Greco ha lasciato in eredità a Donnet, giudicando gli obiettivi di cash flow e utile irraggiungibili.

Su questo si giocherà il futuro prossimo del gruppo. Che, nel frattempo, resta esposto al rischio-Italia. Soprattutto se la vicenda delle banche e il referendum costituzionale dovessero riportare sul mercato venti di tempesta.

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