L'ultima settimana conclusa ha provocato pesanti perdite sui mercati finanziari lanciando sinistri scricchioli sulle certezze degli investitori. Le Borse, il termometro più sensibile dei mercati, hanno lasciato sul terreno tra il 2 e il 3% sia a Oriente (Tokio: -1,94%), che in Europa (indice Eurostoxx: -2,63%; Milano -2,3%) e a Wall Street (indice S&P500 +2,09%). Ma anche le valute non sono state da meno, soprattutto quelle dei mercati emergenti (peso argentino, lira turca, rublo russo e real brasiliano). In questo scenario, in cui l'avversione al rischio è tornata a prevalere nelle scelte degli investitori, ci sono state vendite pure di titoli di Stato spagnoli e italiani che hanno determinato un allargamento dello spread: il differenziale di rendimento tra il governativo decennale del Tesoro italiano e quello spagnolo ha chiuso la settimana a 225 punti (+2,25%), contro i 206 punti del venerdì precedente.
Le ragioni di questi scossoni sono molteplici: dal rallentamento dell'economia cinese alla svalutazione a sorpresa del peso argentino che ha trascinato al ribasso anche il già debole real brasiliano; dalla persistente instabilità della divisa turca alla rivalutazione dello yen giapponese (la valuta di finanziamento preferita ora dai grandi speculatori internazionali). Ma a scuotere i mercati sono soprattutto i timori legati al tapering, cioè la riduzione di 10 miliardi di dollari al mese, dagli 85 miliardi iniziali agli attuali 75, degli acquisti di obbligazioni Usa da parte della Fed. Proprio sulla riunione della Federal Reserve di mercoledì prossimo sono ora concentrati i riflettori degli osservatori: aumenta infatti la preoccupazione che possano esserci ulteriori riduzioni di acquisti da parte della banca centrale Usa. Se così fosse, diminuirebbe la liquidità presente sui mercati che ha permesso agli investitori di puntare con decisione sulle Borse e sui titoli a più altro rischio, determinando nuove vendite di titoli sul mercato.
Cosa fare in questo contesto? Chi ha preso posizione sui mercati emergenti (sia in ambito azionario che in quello obbligazionario) deve distinguere se lo ha fatto in ottica di medio lungo termine (almeno tre anni) o di breve (tre mesi): in quest'ultimo caso, il consiglio è di liquidare le posizioni in quanto le probabilità di perdita a breve sono molto maggiori di quelle di guadagno. Nell'altro caso è coerente restare investiti. Per chi è esposto in altre tipologie di azioni (Italia, Europa, Usa e Giappone), occorre osservare i prossimi sviluppi ma senza vendere, almeno per ora: stesso discorso anche per i titoli di Stato italiani. Chi volesse speculare può puntare su un possibile ulteriore apprezzamento dell'oro, mentre i più abituati al rischio potrebbero fare una puntata anche sui titoli di Stato Usa, pronti a uscire se la situazione tornasse alla normalità di una decina di giorni fa. Per coloro che, invece, dispongono di liquidità da investire, è meglio attendere ancora qualche giorno.
Sia che la situazione internazionale dovesse riassorbirsi in poco tempo, sia, al contrario, proseguire con ulteriori correzioni dei listini azionari e obbligazionari, sarà relativamente più semplice prendere decisioni consapevoli e non emotive.
Basti pensare al 2013, quando tra metà maggio e fine giugno, le Borse persero tra il 10% e il 15% e i rendimenti dei titoli di Stato aumentarono tra il mezzo e il punto percentuale: chi, con calma avesse investito a fine giungo 2013, avrebbe guadagnato, in sei mesi, poco meno del 20% in Borsa e tra il 4% e il 6% con gli strumenti obbligazionari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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