Il governo promette meno tasse e la bad bank, Guzzetti tiene duro

RomaIn latino si dice captatio benevolentiae . Ne ha fatto ampio ricorso Enrico Morando, vice ministro all'Economia, per addolcire l'atteggiamento delle fondazioni bancarie sul ricambio del vertice della Cassa depositi e prestiti. Ma senza grandi risultati, a giudicare dalle risposte ricevute da Giuseppe Guzzetti, presidente dell'Acri. Morando ha tintillato le papille delle fondazioni con tre argomenti. Il primo: ridurre la deducibilità delle perdite in un anno, anzichè in cinque. Il secondo: una bad bank con garanzia pubblica («stiamo cercando di convincere la Ue sull'argomento», ha detto). Il terzo: ridurre la pressione fiscale sulle fondazioni al livello dei fondi pensione («ma è una mia opinione personale», ha precisato il vice ministro).

Guzzetti, però, cresciuto alla scuola democristiana (è tra i banchieri più professionalmente longevi del Paese), ha fatto orecchie da mercante di fronte alle profferte di Morando. E come insegnano tutti i manuali di trattativa della Prima Repubblica è rimasto sulle sue posizioni. «Noi siamo per la riconferma di Bassanini (alla presidenza della Cassa depositi). Però - ha lasciato capire - ci dev'essere un contesto in cui queste cose si affrontano e risolvono. Non sono all'opposzione di questo governo. Chiedo di collaborare, ma sono inascoltato».

Insomma, Guzzetti fa quadrato (nominalmente) su Franco Bassanini. Ma è pronto a cambiare idea. Soprattutto se il diretto interessato è pronto a cedere alle pressioni e presentare le dimissioni. «Non ho la sfera di vetro per indovinare il futuro - ha commentato il presidente dell'Acri - Sto al presente. E il presente è lo statuto della Cassa che dice che il presidente spetta alle fondazioni e l'amministratore delegato al Tesoro. E per noi, il presidente è Franco Bassanini». Almeno finquando lo stesso Bassanini non si dovesse dimettere. Gli enti hanno inviato una lettera al Tesoro, con le condizioni per rendere accettabile il ribaltone.

Vista la situazione di impasse, Renzi avrebbe anche minacciato di ricorrere al varo di una norma per far decadere il consiglio di amministrazione della Cdp: escamotage già utilizzato in passato. La soluzione era stata valutata come l'unica percorribile, vista l'indisponibilità a dimettersi dei dirigenti del ministero dell'Economia che ne fanno parte.

Circostanza, quest'ultima, che ha messo Vincenzo La Via nel mirino di Palazzo Chigi. Anche perchè i cinque dirigenti in questione dipendono tutti dalla direzione generale del Tesoro, proprio quella guidata da La Via. E se questi cinque alti funzionari non dovesero presentare le dimissioni dal cda della Cassa, Renzi non riuscirebbe a rimodellare la Cdp con gli uomini che ha in mente: Costamagna al posto di Bassanini e Gallia al posto dell'amministratore delegato Gorno Tempini. Per riuscirci deve fare, appunto, una legge. Semprechè a far decadere il consiglio d'amministrazione non ci pensi proprio lo stesso Bassanini con le proprie dimissioni.

Gorno, poi, sembra non sia intenzionato ad accettare le promesse di ricollocazione (future) che gli sono state bisbigliate dall'Economia, in cambio delle proprie dimissioni. Così, l'argomento è scivolato - inevitabilmente - su temi economici personali. Sembra, insomma, che stia alzando il prezzo della buonuscita.

Dalla Corte dei Conti hanno fatto sapere (in anticipo) che Palazzo Chigi e l'Economia devono far bene i conti dei costi per la rimozione del vertice della Cassa depositi. L'ipotesi di inciampare nel “danno erariale“ è vicinissima.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica