Quel chip nel cervello delle pmi

Quel chip nel cervello delle pmi
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Ho cercato sul vocabolario Treccani la definizione di distopia. Eccola: «Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all'utopia o per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico sociali e tecnologici altamente negativi». L'ho fatto perché non mi convince la narrazione che vede un futuro distopico per l'umanità causato dal dominio fuori controllo dell'intelligenza artificiale. Il rapporto tra uomo e scoperte tecnologiche non è mai stato facile. I dubbi e le paure una costante. Eppure siamo arrivati fin qui. E i benefici, dovuti a tali scoperte, sono evidenze. Adesso si tratta di prendere le misure con le nuove macchine. Che sono, per l'appunto, molto intelligenti, hanno una complessità che non è umana. Dunque, non si tratta di mettersi sul loro piano. Non pochi professori universitari che si occupano dell'affascinante materia affascinante poiché è impattante su tutti gli aspetti della nostra vita, soprattutto su economia e il lavoro fanno notare che in fondo l'algoritmo è niente più che una ricetta. E che se non si comprende questo, vale a dire se perseveriamo nell'immaginarci il futuro dell'intelligenza artificiale come un film di fantascienza o un romanzo popolato di alieni, l'uomo assai difficilmente sarà in grado di sviluppare anticorpi culturali per coesistere e trarre i fondamentali vantaggi da queste macchine che abbiamo inventato. Approcciare l'AI con timore e tremore non conduce a nulla di conveniente. Il distopico è visione anti economica. La visione economica e profittevole è quella di promuovere regole certe per gestire l'AI.

E nella gestione già assai operativa molte nostre imprese sono avanti. Stanno conoscendo queste macchine per fare di tale conoscenza un fattore di crescita della propria attività imprenditoriale. Ovvero: un plus competitivo.

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