A pochi giorni dall'assemblea dei soci dell'ex Ilva di Taranto (di scena il 22 dicembre) che sarà preceduta, domani, da un vertice a Palazzo Chigi con i sindacati, sono diverse le partite che deve affrontare il polo siderurgico. Tra i tanti dossier che riguardano l'ex Ilva, in grave emergenza finanziaria, ce ne sono due cruciali che riguardano il totale dei debiti verso i fornitori e le cause legali aperte. A quanto ammontano realmente? Quanto peseranno sul futuro rilancio dell'azienda, sempre che ne esista uno?
I numeri esatti non sono disponibili ma suddivisi per settori, quindi altamente e strategicamente frammentati, ma secondo quanto ricostruito dal Giornale, i debiti verso fornitori ammonterebbero ad almeno 1,2 miliardi: 150 milioni imputabili all'indotto di Taranto, 18-20 milioni all'indotto ligure, 380-400 milioni per la bolletta del gas e 100 milioni d'anticipo per la continuità della fornitura. Più, dato inedito, altri 450 milioni che sono ascrivibili ad altri fornitori (ricambi, trasporti, eccetera). Non solo. Nell'ultimo anno Lucia Morselli, l'ad di Acciaierie d'Italia (62% Arcelor Mittal e 38% Invitalia), ha cambiato gran parte delle prime e seconde linee accumulando una serie di cause legali, circa una decina, che peserebbero sui bilanci per potenziali 4 milioni di euro. Una serie di mine che il governo dovrà esaminare per fissare una serie di punti fermi nella road map che dovrebbe portare al salvataggio del gruppo: un'operazione complessiva da 1,8 miliardi considerata l'ultima possibilità per l'ex Ilva di sopravvivere al suo graduale e prossimo spegnimento per consunzione qualora Arcelor confermasse il suo passo indietro. Se così sarà, il governo dovrà assumere la maggioranza del capitale di AdI e poi decidere per un aumento di capitale in due tempi. Solo così si potrà salvare quel poco che resta della produzione senza che gli impianti si spengano definitivamente, salvaguardando i fornitori e gli oltre 10mila lavoratori coinvolti direttamente. La prima mossa dovrebbe essere la conversione del prestito da 680 milioni di Invitalia che, ribaltando la governance, porterà la finanziaria del Tesoro dal 38% al 62% (con Arcelor in discesa al 38%). Uno step che, da contratto, era previsto a maggio 2024, ma che dovrà essere per forza anticipato.
Una volta salita in maggioranza Invitalia, dovrebbe andare poi in scena il doppio aumento di capitale: un primo da 320 milioni per le esigenze di cassa urgenti e un secondo, più sostanzioso, porterebbe l'operazione al totale di 1 miliardo.
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