Negli Stati Uniti la parola recessione rimbalza di bocca in bocca. Gli indicatori, dicono gli analisti, puntano tutti nella stessa direzione, e la Nazione corre ai ripari.
Meta (il gruppo a cui fa capo anche Facebook) ha limitato le entrate di nuovo personale per i prossimi mesi, riducendo a 6-7.000 le assunzioni dei 10.000 ingegneri previste. Il fondatore e amministratore delegato Mark Zuckerberg ha inoltre lasciato intuire di essere sfiorato dall’idea di tagliare gli effettivi perché, parole sue, nell’azienda ci sono persone che dovrebbero essere altrove.
La recessione e i timori di recessione
Lo scenario macroeconomico al momento è caotico. Occorre quindi fare un passo indietro per contestualizzare meglio cosa sta accadendo. Il termine “recessione” è abusato, viene utilizzato anche quando un paese sta attraversando un momento congiunturale delicato. In economia la recessione ha un significato preciso ed è la condizione secondo la quale un paese non è più in grado di sfruttare la propria capacità produttiva. Questo, in termini generali, si traduce in minori consumi, minore occupazione e minore distribuzione della ricchezza. Elementi che si ripetono e si alternano in un circolo vizioso.
Chiedersi che cosa dà il via a una recessione è una buona domanda ma gli economisti non sono concordi nel dare una risposta univoca. I fattori che entrano in gioco sono diversi. Negli Stati Uniti si è anche a lungo parlato della “curva invertita” dei titoli di Stato, meccanismo per il quale gli investimenti sul breve periodo rendono più di quelli fatti a lungo termine ed è una situazione che, secondo gli economisti, ha sempre aperto le porte alla recessione.
Se ci limitiamo alla storia recente occorre smentire questa teoria perché, se è vero che la curva si è invertita nel 2019 e nel 2008, è anche vero che le crisi immediatamente seguenti sono state condizionate dal Covid e dalla bolla del credito.
Ciò che contribuisce alla recessione è il timore di recessione: aziende che si preparano alla presunta austerità in arrivo contribuendo a materializzarla con licenziamenti, minori investimenti e paralisi decisionali le quali, a loro volta, creano insicurezza sui mercati finanziari.
Le paure di Meta
Zuckerberg è certo che quella in arrivo sarà una flessione economica vigorosa e, essendo il gruppo Meta quotato in borsa, il Ceo deve mandare un segnale forte agli investitori per diversi motivi: il primo è che, nell’ultimo anno il valore delle azioni ha perso il 48,97%, il secondo è la concorrenza di TikTok che attira utenti e inserzionisti.
Il terzo è che le politiche sulla privacy di Apple rendono più difficile la profilazione di chi usa un dispositivo prodotto da Cupertino, ed è un problema di spessore perché uno smartphone ogni quattro è un iPhone. Anche in questo caso gli inserzionisti non sono felici, perché riuscire a veicolare i contenuti pubblicitari diventa complicato.
Il Ceo ha evidenziato che se su Meta piove forte, sulle altre Big del tech non c’è il sole. Ed è una mezza verità. Alphabet, altro colosso della pubblicità, ha lasciato sul terreno il 2,29% durante gli ultimi 12 mesi. Microsoft, altro concorrente anche se in misura molto minore, ha guadagnato il 5,43%.
Per trovare un’azienda tecnologica i cui titoli hanno fatto grandi balzi verso il basso occorre scomodare Amazon (-28,52% nell’ultimo anno) che,
però, non è azienda che si colloca nel medesimo comparto di Meta e, soprattutto, non è azienda al cui interno si stanno sganciando misure per prepararsi a una recessione che, per il momento ancora, non sta dando segno di sé.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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