Pareggio di bilancio, stop per ridurre il fisco

La proposta indicata ieri da Brunetta sul Giornale è la strada se si vuole rilanciare l’economia. Forte rilancia: "I tagli di spesa servono per ridurre la pressione fiscale"

Pareggio di bilancio, stop per ridurre il fisco
La proposta di Renato Brunet­ta di non effettuare nuove mano­vre per raggiungere a tutti i costi il pareggio nel 2013 e di non carica­re gli italiani di altre tasse è sacro­santa. L’idea che il corpo econo­mico si presti a donazioni di san­gue continue tramite i tributi e non si ripieghi su se stesso è assur­da. E d’altra parte, il taglio delle spese che Giarda ha teorizzato, non può attuarlo, essendo mini­stro dei Rapporti con il Parlamen­to e non del Tesoro. E non sembra comun­que che questo governo lo voglia attuare in misura rilevante. Bru­netta lo ammette, a denti stretti, e da qui deriva la sua tesi per cui questo taglio, che va comunque fatto, non può bastare per far qua­drare il bilancio nel 2012 e per ri­lanciare gli investimenti pubblici e suggerisce di devolverlo a questi.

Invece io sostengo che i soldi che il governo deve limare dalla spesa pubblica devono andare a ridurre gli oneri fiscali eccessivi, per ridare fiato all’economia. La proposta del segretario del Pdl che l’imposta sulla prima casa sia transitoria mi pare che rientri fra questi obbiettivi prioritari. Dato che tale tributo rende al massimo 4 miliardi annui, si taglino 4 mi­liardi di spese per finanziarne l’abrogazione.Prevedo due obie­zioni: una di Brunetta che mi chiederà se io voglio rinunciare alla politica di rilancio della crescita economica con gli investimenti azionati dalla mano pubblica e un’altra dei rigoristi montiani, che chiederanno a Brunetta e a me, con quale faccia noi possia­mo presentarci ai mercati dero­gando alla regola del pareggio nel 2013.

Anticipo che la riposta di Bru­netta si trova, per implicito, nella sua proposta, che è quella di fare investimenti pubblici. Questi non fanno parte del disavanzo di esercizio del bilancio pubblico, ma del disavanzo del conto dei ca­pitali e quindi non sono indice di spensieratezza, ma di serietà per­ché servono a combattere la reces­sione, migliorare il Pil, ossia il pro­dotto lordo e pertanto ad attenua­re il rapporto fra il debito pubbli­co e il Pil, aumentando il Pil. Inve­ce a me si può chiedere da parte dei rigoristi montiani se io credo che riducendo le imposte ci sia un aumento del Pil tale da far recupe­rare automaticamente il gettito così perduto, ossia credo nella ma­gia della curva di Laffer.

La risposta è che il recupero av­viene man mano. E comunque sia a me che a Brunetta possono do­mandare come ce la caviamo con il fatto che, non pareggiando il bi­lancio delle entrate e delle spese pubbliche nel 2013, ma nel 2014, diamo luogo nel 2013 a un aumen­to del debito pubblico, che i mer­cati non si aspettavano e che, pre­sumibilmente, non gradiscono. La risposta però c’è. Si tratta di fa­re ricorso a entrate straordinarie su cui l’Europa non può storcere il naso e ad alienazioni patrimonia­li di beni pubblici male utilizzati e di quote di imprese pubbliche.

L’accordo fra l’Italia e la Svizze­ra sulla tassazione dei capitali ita­liani in Svizzera, sul modello già attuato dalla Germania e dal Re­gno Unito, secondo calcoli atten­dibili può dare più di 20 miliardi una tantum e un flusso annuo di qualche miliardo. Come si nota es­so potrebbe servire a tappare un buco del bilancio di 1,3 punti di Pil.

Qualche miliardo si può ricava­re, senza molte complicazioni, dalle alienazioni patrimoniali. Dunque è possibile pareggiare il bilancio fra entrate e spese pubbli­che senza ricorrere a nuove tasse ma ricorrendo a misure di finan­za straordinaria, con entrate una tantum,che l’Europa non può cri­ticare e con privatizzazioni che snelliscono l’economia pubblica e destinare la limatura delle spese di qualche miliardo all’elimina­zione dell’Ici sulla prima casa.

Quanto agli investimenti per ri­lanciare l’economia essi possono essere fatti in larga misura mobili­tando risorse del mercato e fondi europei, sia di quelli di spesa pub­blica che noi non riusciamo a spendere sia del credito della Bei, la Banca europea degli investimenti, che noi non utilizziamo e con i soldi della Cassa depositi e prestiti che adesso compra dal­l’Eni il 28 per cento circa di Snam Rete Gas spendendo 3,5 miliardi di soldi pubblici.

Questa non è una privatizzazione ma una stata­lizzazione, in quanto la Cassa depositi e prestiti è posseduta in maggioranza dallo Stato e per una minoranza da grandi ban­che, e non è quotata in Borsa men­tre nell’Eni che è quotato in borsa, lo Stato ha una quota di minoran­za.

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