Le partite Iva a rischio ​al tempo del coronavirus

Se l’emergenza dovesse durare ancora molto, l’economia nazionale potrebbe avere delle pesanti ricadute. I primi a pagare? Le solite, tartassate, partite Iva

Le partite Iva a rischio ​al tempo del coronavirus

Dissanguati dallo Stato. E lasciati soli, quando la situazione si complica dannatamente. Il popolo delle partite Iva al tempo del coronavirus è schiacciato dal peso di quella che sembra ormai un’inevitabile recessione. Negli anni questi lavoratori autonomi, tartassati e depredati di tutto, sono stati vittima di una narrazione così sbagliata da essere percepiti troppo spesso come una manica di furbetti. Donne e uomini pronti a fregare il fisco non appena si presenta l’opportunità.

In realtà questi "eroi maledetti" se la passano male, anzi malissimo. Nell’arco di appena tre anni il loro numero si è ridotto del 40% circa. Diversi i fattori che hanno inciso su questa tragedia: la stagnazione economica, i controlli eccessivi dello Stato che tolgono ossigeno all’economia, la burocrazia. A questo si aggiunge l’epidemia da Covid-19.

Se l’emergenza causata dal coronavirus dovesse durare ancora molto, come ipotizzato dagli scienziati, il rischio che una buona parte dell’economia nazionale si fermi è alquanto probabile. Con buona pace per quelle partite Iva, sempre pronte a pagare in prima persona per le mancanze del potere pubblico. Il principale colpevole, però, rimane la pressione fiscale sempre più pesante. È arrivata a toccare il 64% dei profitti di una piccola impresa. Un’enormità. Lo dice la Cgia di Mestre.

Il prelievo medio dell’Irpef sui lavoratori autonomi è di gran lunga superiore a quello in capo ai dipendenti e ai pensionati, pari rispettivamente al 30% e al 67% in più, stando sempre ai dati della Cgia. Ma diamo qualche altro numero. Il centro studi di Unimpresa, scrive Business Insider, conferma che una partita Iva che fattura 50mila euro annui è obbligata a versare: 13.625 euro di saldo Irpef, 5.241 di acconto Irpef, 956 euro di addizionale regionale Irpef, 236 euro di addizionale comunale Irpef, 1.689 euro di Irap, 7.191 euro di contributi previdenziali... Potremmo andare avanti. Ma ci fermiamo per rispetto della salute mentale dei nostri lettori.

C’è un cortocircuito alla base di questo sciacallaggio. Ogni anno le partite Iva subiscono cento controlli da 15 enti differenti, il che significa avere a che fare con un controllo ogni tre giorni. Il 25% degli autonomi, inoltre, vive al di sotto della soglia di povertà calcolata dall’Istat. Lo Stato, insomma, mette sotto una lente di ingrandimento questi lavoratori, molto spesso micro imprenditori, pronto a punirli. Imbrigliando così il mercato.

Tra le numerose insidie che ai lavoratori tocca fronteggiare, la più allarmante resta il reddito medio in picchiata che negli ultimi dieci anni è calato di 7mila euro. I numeri parlano chiaro: dal 2008 al 2018 i liberi professionisti hanno perso il 25% dei guadagni annui. Accanto al reddito in calo c’è da prendere atto anche di una situazione debitoria fuori controllo: il 98% degli autonomi ha in corso rateizzazioni per debiti o mancati pagamenti che si accumulano alle varie scadenze fiscali. Inutile sottolineare un aspetto decisivo, ogni mese sono più i soldi che finiscono nelle casse dello Stato rispetto a quelli che restano nelle tasche di professionisti e artigiani.

Ma torniamo al coronavirus. La crisi interessa principalmente le piccole partite Iva. Sono bar, ristoranti, alberghi e tutte quelle attività che hanno alle loro dipendenze fino a un massimo di 5 lavoratori. A quanto potrebbero ammontare gli effetti del virus su questa fetta di Italia? Ha provato a rispondere l’ufficio studi della Cgia. Molto dipenderà dalla durata temporale di questa fase d’emergenza. Nelle scorse settimane il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aveva ipotizzato una perdita di qualche decimale di Pil. Se la ricchezza prodotta dovesse scendere di 0,4 punti, così come prevedono alcuni istituti di ricerca, il danno economico ammonterebbe a circa 7 miliardi di euro.

Una cifra enorme destinata a salire se i nostri governanti non faranno nulla per sostenere le imprese. Soprattutto quelle piccole. Commercianti e artigiani. Uomini e donne in trincea. I primi a pagare il prezzo dell’infezione, senza mascherine.

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