Assocalzaturifici: ora politiche per far tornare in Italia le aziende manifatturiere

Delocalizzazione, segnali di inversione di tendenza. E all'assemblea delle imprese calzaturiere il presidente Cleto Sagripanti lancia un appello: lo scenario mondiale a partire dalla Cina sta cambiando, governo e Ue si impegnino per favorire la riallocazione del manifatturiero, Draghi intervenga anche sui cambi a sostegno dell'export

Assocalzaturifici: ora politiche per far tornare in Italia le aziende manifatturiere

#reshoring… e se la fabbrica tornasse in Italia?, l’hastag che si conclude con un punto interrogativo potrebbe sembrare utopico o provocatorio, ma non lo è. In tempi prolungati di delocalizzazione delle produzioni e di crollo del manifatturiero, ci sono segnali di un' inversione di tendenza. La produzione manifatturiera potrebbe imboccare la strada virtuosa del ritorno nei Paesi occidentali. Segnali da non sottovalutare per uno dei temi chiave della ripresa, dello sviluppo e dell’occupazione legato al “saper fare bene”. Tema al centro dell’assemblea annuale di Assocalzaturifici, settore di peso della nostra economia e dell’export manifatturiero con la sua filiera di Pmi imperniata sui distretti della calzatura e dell’accessorio moda.

“I segnali ci sono, ma perché si trasformino in certezze servono due condizioni fondamentali - spiega Cleto Sagripanti, presidente di Assocalzaturifici -. La prima è che la finanza dismetta i panni del creatore di ricchezza virtuale perché i derivati hanno aiutato a far crescere i profitti ma hanno inserito un virus nell’economia mondiale. La seconda è che la politica economica europea cambi strutturalmente: sia quella commerciale che quella industriale. Per la politica commerciale Ue ricordiamo la battaglia ancora in corso per l’obbligatorietà dell’etichettatura di origine. Abbiamo ottenuto successi importanti, con l’affermazione che la stragrande maggioranza dei rappresentanti europei è a favore, ma non abbiamo ancora vinto la guerra. Questa non è più una vicenda che riguarda i lobbisti, ma rappresenta il simbolo concreto di quale visione vogliamo dare all’Europa”.

“È significativo – continua il presidente - che a 15 anni di distanza dall’affermazione del modello Wimbledon di Blair sia ancora un premier britannico, Cameron, a marcare una svolta quando sostiene che la Gran Bretagna deve far tornare la manifattura nei confini nazionali. Ci permettiamo di osservare che una parte dell’Europa era già convinta della necessità di non deindustrializzare, come invece si è cercato di fare nell’ultimo ventennio con risultati che stanno sotto gli occhi di tutti: rispetto al 2008, la produzione manifatturiera europea ha perso il 12,4%. In Italia nei primi tre mesi del 2014 nel settore calzaturiero, componentistica inclusa, abbiamo perso lo stesso numero di addetti (circa 1.400) che nell’intero 2013”.

I dati del network universitario Uni-CLUB MoRe indicato, a proposito della riallocazione, che l'Italia è al secondo posto per numero di imprese che hanno deciso di far rientrare la produzione in casa, dietro agli Stati Uniti e davanti alla Germania. Delle 194 riallocazioni produttive europee in tutti i settori analizzate nella ricerca il 41% è italiano, solo il 20% è tedesco. Fra tutte le riallocazioni internazionali considerate a livello mondiale (426) l’abbigliamento e le calzature rappresentano il 21% e sono il primo settore davanti all’elettronica (15%) e alla meccanica (13%).

“Non siamo di fronte soltanto a uno spostamento di produzione legato a vantaggi competitivi di breve periodo – spiega ancora Sagripanti -. Non sono solo i costi del lavoro e dell’energia, le variazioni della produttività e dei tassi di cambio ad essere rilevanti. Perché su quelli purtroppo il nostro Paese e in generale l’Europa non è competitiva. Basti ricordare che rispetto al dollaro noi perdiamo circa 15 punti di competitività di costo nei confronti della moneta cinese negli ultimi dieci anni. La politica monetaria e di cambio in Europa è andata nella direzione opposta dal riportare la manifattura in Italia”.

“La fornitura snella con la riduzione delle scorte e del magazzino con il collegamento del momento della vendita a quello della produzione e dell’approvvigionamento, non è più sufficiente. Imprevedibilità e variabilità del mercato sono tali che la filiera lunga finisce per entrare in crisi. Diventa allora di nuovo utile una filiera agile, come quella italiana, capace di rendere industriale un prodotto artigianale, trasformare un prodotto unico in una serie vendibile a costi industriali. Ed è proprio grazie alla sua manifattura a rete, la manifattura dei distretti, e alla agilità che ne deriva, che la filiera italiana torna ad essere ancora più competitiva. Da qui la necessità di valorizzare e tutelare l’eccellenza manifatturiera del calzaturiero italiano. L’etichettatura di origine obbligatoria è un modo per favorire la trasparenza verso il consumatore ma anche la possibilità per l’impresa di utilizzare questo elemento come primo fattore del proprio story telling sul prodotto. Deve essere interpretato in questo senso anche l’accordo per l’ingresso del comparto degli accessori per calzature in Assocalzaturifici che rafforzerà la strategia di filiera per il settore”.

"Il nostro successo, la capacità di salire su questo treno che ci passa accanto, non sarà determinato solo dalle caratteristiche favorevoli della nostra filiera, del nostro sistema imprenditoriale, del nostro saper fare manifatturiero – precisa il presidente di Assocalzaturifici -. Occorre anche che la politica industriale italiana, al pari passo con quella europea, liberi finalmente le imprese dai mille vincoli in cui sono oggi imbrigliate. La poltica reale non può essere disgiunta dalla politica monetaria. Siamo così occupati a tenere bassi i tassi di interesse, a convincere il cavallo a “bere” che non ci accorgiamo che il cavallo è quasi morto. Si deve intervenire non solo sui tassi, ma anche sui cambi. Ci auguriamo che il presidente della Bce Draghi ci aiuti a recuperarte il gap del cambio. Serve recuperare compettività, ma non lo possiamo fare da soli".

L' appello a alla politica italiana ed europea è chiaro. Occorre intervenire senza perdere tempo. Se nel 2013 il il comparto ha tenuto sui livello del 2012 si deve solo all'export perché la flessione del mercato interno è pesante. In totale sono stati esportati 219,8 milioni di paia (+2,6%) per un valore di circa 8,1 miliardi di euro (ennesimo record, +5,7%). I consumi interni per contro hanno registrato cali consistenti sia in volume (-4,7%) sia in valore (-4,3%). I soli consumi delle famiglie italiane hanno registrato cali del 6% e del 5,8% rispettivamente. E nel 2014 la situazione non sembra cambiare: il mercato domestico è fermo, le esportazioni non riescono da sole a compensare la continua flessione dei consumi interni. Il campione di associati monitorato dall’Ufficio studi di Assocalzaturifici indica una riduzione media nel primo trimestre 2014 dello 0,3% in volume. Combinando tale risultato con le dinamiche di prezzo segnalate dalle aziende, è possibile stimare un incremento della produzione in valore attorno all’1,5%.

Scenario con luci e ombre dunque, con cambiamenti a cui occorre guardare con attenzione. “Nonostante una situazione da cui continuamente emergono la competitività delle nostre imprese e la fragilità del nostro sistema Paese – sottolinea Cleto Sagripanti - assistiamo a una chiara inversione di tendenza sul mercato mondiale delle calzature e sulla filiera internazionale della subfornitura. La crescita del mercato interno cinese è ormai interpretata da molti economisti come un punto di svolta. La Cina sarà sempre di più un mercato su cui andare a vendere e sempre meno la fabbrica del mondo. Non solo per ragioni di prezzo, ma anche perché il mercato mondiale richiede un tipo di filiera produttiva diversa dal passato”.

La produzione cinese di calzature tra il 2010 e il 2012 è cresciuta del 6%, equivalente a circa 703 milioni di paia. Di questa crescita solo il 20% è uscito dal Paese, mentre il restante 80% a incrementato la domanda interna. Nel 2010 la Cina esportava il 79% della produzione nazionale; nel 2012 solo 76 scarpe su 100 prodotte sono uscite dai confini nazionali. La Cina sta cambiando pelle: da player manifatturiero a mercato di consumo. Crescono i salari e le imprese hanno meno capacità di investimenti.

"I dati ci dicono che fra pochi anni la Cina diventerà il primo mercato per noi - spiega Sagripanti -.

Noi crediamo nel reshoring ma perché si verifichi la politica deve rimettere al centro la manifattura con una legge ad hoc che aiuti i distretti e le piccole imprese, per esempio lavorando sui mini-bond, con agevolazioni fiscali per gli investimenti, con la riduzione fiscale su imprese e famiglie, e con la semplificazione della burocrazia".

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