È dei giorni scorsi l'intervento del governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, che rappresenta l'esigenza delle banche italiane, soprattutto commerciali, di ricreare un contesto di fiducia in cui operare. La Bce, con riferimento all'Italia, ha ribadito la medesima necessità. In aggiunta a tutto ciò, anche il Fmi e l'Ocse hanno recentemente scritto di come il sistema bancario rappresenti l'anello debole dell'economia italiana.
Questo nonostante nel nostro Paese si sia sempre affermato che «non esiste uno specifico problema legato alle banche» e che «la situazione del sistema bancario è sotto controllo». I dati ci mostrano una realtà drammatica e preoccupante. Per ricreare un contesto di fiducia, fondamentale anche per procedere al salvataggio degli istituti in crisi che minacciano l'intero sistema, non si può prescindere dal chiarire le circostanze in cui tali dissesti sono maturati. Una operazione verità che solo la Commissione parlamentare di inchiesta può compiere. Trasparenza per riportare fiducia. Nelle banche e nell'economia di tutto il Paese.
Quello di cui si è discusso fino a ieri riguarda il livello di tenuta del sistema bancario e la solidità patrimoniale degli istituti. Come ci impone, d'altronde, l'Europa. Troppo poco, invece, si dice sulla fiducia che i cittadini nutrono ancora, se la nutrono, verso le banche. Quel valore intangibile che non trova rappresentazione nei bilanci, ma è capace più di ogni altro asset di creare valore nel tempo. Se si svolgessero test, oltre che sulla solidità finanziaria, anche su trasparenza e correttezza degli istituti verso i clienti, gli esiti sarebbero probabilmente non positivi.
Abbiamo impiegato un anno e mezzo per arrivare all'istituzione della Commissione. Probabilmente il Pd ha rallentato l'iter. Ma non è questo il punto. Ne prendiamo atto. Il punto è capire come e perché siamo giunti a questa situazione. Perché fino a ieri si è negata l'esistenza stessa della crisi del sistema bancario italiano, nonostante l'evidenza. Perché si è sempre affermato che i nostri istituti fossero solidi, nonostante ci fosse il rischio che venisse giù tutto. Nonostante lo Stato si sia trovato a dover intervenire.
Perché? Cosa è successo? Ha questo a che fare con quanto avvenuto nel triste autunno del 2011, quando la speculazione internazionale ha colpito il nostro debito sovrano? Quando ci fu la nota crisi dello spread? C'è una qualche connessione tra l'andamento dei titoli del debito pubblico a partire da fine 2011 e la persistente crisi bancaria che da allora ci affligge?
È stata tale crisi conseguenza della perdita di valore dei nostri bond in quel drammatico periodo e delle relative esigenze di ricapitalizzazione delle banche? In questo quadro, certamente non ha aiutato l'infelice riformismo in tema bancario degli ultimi governi. Dalla frettolosa e chiacchierata, fino a paventare l'accusa di insider trading, riforma delle banche popolari al fallimento pilotato di Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche a cui è stata applicata in anticipo con un decreto forsennato la direttiva sul bail in, dando un segnale di vero e proprio masochismo bancario ai mercati. Né si sono visti segni tangibili né da parte delle autorità competenti, né tantomeno del governo, ai fini del ristoro dei risparmiatori truffati. Per non parlare dello stato comatoso del Monte dei Paschi di Siena e dei necessari e ripetuti salvataggi. Condizione estrema che viene da lontano, dalla folle acquisizione di Antonveneta. Dall'opacità e dalla spaventosa incongruenza di valori insite in quella operazione, che hanno stroncato la banca.
Per non parlare di Veneto Banca, di fatto fallita, come emerge dall'ultimo decreto del governo che ha congelato il rimborso del prestito obbligazionario a migliaia di clienti motivandolo con l'impossibilità dell'istituto di onorare i propri obblighi. Per non parlare, infine, dell'annosa questione dei derivati, tanto sul debito sovrano, di cui abbiamo visto da ultima la censura della Corte dei Conti, tanto quelli in pancia a banche ed enti privati, di cui nessuno sa niente. Sono mine vaganti.
Sarà la Commissione di inchiesta un toccasana? Probabilmente no, ma forse una premessa per riportare fiducia nel sistema, quel fondamentale capitale invisibile distrutto in questi anni. Con le conseguenze che conosciamo.
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