Uber è un servizio di trasporto, non una piattaforma di intermediazione, e come tale va regolato nel rispetto delle legislazioni dei singoli Stati in materia e delle direttive dell'Unione Europea. Lo ha stabilito ieri, con una sentenza storica, la Corte di Giustizia Ue intervenendo su un caso sollevato al tribunale di Barcellona da parte dell'associazione Taxi Elite che contestava la concorrenza sleale del gruppo Usa. È stata bocciata la tesi che Uber, star della sharing economy, fornisca un mero servizio digitale che collega conducenti con potenziali passeggeri. Le conseguenze potrebbero non limitarsi a Uber. C'è già chi accenna ad un prima similitudine: se Uber è paragonata alle cooperative di taxi, Airbnb dovrebbe essere confrontata alle catene alberghiere. Potrebbe essere questo un punto di svolta per la cosiddetta «gig economy» ovvero l'economia fondata su lavoretti di privati, generalmente non professionisti, coinvolti grazie a piattaforme come Airbnb per l'alloggio o Foodora per la consegna di pranzi e cene.
Più in dettaglio il giudice spagnolo, riferendosi a UberPop (piattaforma super aggressiva che permette a chiunque di usare la propria macchina e per trasportare clienti lavorando come imprenditore di se stesso), aveva chiesto alla Corte «se l'attività di intermediazione tra il proprietario di un veicolo e la persona che deve effettuare spostamenti all'interno di una città debba essere considerata una mera attività di trasporto, un servizio elettronico di intermediazione o di informazione». La pronuncia della Corte del Lussemburgo ha messo in chiaro che l'attività del gruppo fondato nel 2009 da Travis Kalanick e presente in ben 81 Paesi «deve essere considerata indissolubilmente legata a un servizio di trasporto» e, di conseguenza, «deve essere esclusa dall'ambito della libera prestazione dei servizi in generale, nonché della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno e della direttiva sul commercio elettronico». La Corte di Giustizia conclude poi sottolineando che «gli Stati membri possono disciplinare le condizioni di prestazione di tale servizio». Uber ha replicato sostenendo che «questa sentenza non comporterà cambiamenti nella maggior parte dei paesi dell'Ue dove già siamo presenti e in cui operiamo in base alla legge sui trasporti».
Con la decisione di ieri, l'Europa ha vietato di fatto e alle condizioni attuali il servizio «UberPop» (oltre a epigoni e servizi similari) contro cui, in questi ultimi anni, sono insorti i tassisti in tutta Europa, compresi quelli di San Francisco, patria del gruppo oggi valutato 70 miliardi di dollari, e gli italiani. Proprio nel nostro Paese, UberPop era stato bloccato e dichiarato illegale già nell'estate del 2015 da una pronuncia del Tribunale di Milano. Uber è presente a Roma e Milano con auto Ncc (UberBlack) ovvero noleggi con conducente. Sono invece falliti i tentativi di sbarco a Firenze, Genova e Torino.
Oltre a UberPop la società negli anni ha diversificato la propria attività con formule diverse sempre più simili al noleggio d'auto con autista. In Francia e in Germania Uber ha già accettato di muoversi come un servizio di trasporto dopo anni di scontri, mentre in Estonia sono sostanzialmente stati messi sullo stesso piano tassisti e conducenti Uber.
Danimarca, Ungheria e Bulgaria hanno per ora imposto i maggiori sbarramenti all'ingresso. Dopo anni di lotte dentro e fuori le aule dei tribunali, Uber ha infine perso la battaglia anche con i leggendari taxi neri di Londra. Almeno per ora.
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