Effetto indulto, si riparte da zero. Uno su quattro di nuovo in cella

Mille detenuti in più al mese, per metà sono stranieri

Effetto indulto, si riparte da zero. Uno su quattro di nuovo in cella

Milano - Mille detenuti in più al mese. Di questo passo, a fine anno saremo di nuovo al collasso delle carceri. Insomma, nella stessa situazione in cui il sistema versava alla vigilia dell’indulto, nell’estate del 2006. L’allarme, senza mezzi termini, questa volta lo lancia il Sappe, il sindacato degli agenti penitenziari, e lo fa fornendo una raffica di numeri, difficilmente aggirabili. Tanto per cominciare, dietro le sbarre c’erano a fine 2007 - ora sono ancora aumentati - 48.693 detenuti, ben 8.866 in più (cioè il 20 per cento) rispetto all’anno precedente. Facile fare due conti: la progressione, solo temporaneamente stoppata dal provvedimento di clemenza, fa immaginare un futuro nero.

Del resto, il passato prossimo, quel che è accaduto in questi mesi, è un’iniezione di pessimismo: il 27 per cento degli scarcerati per indulto, un piccolo esercito di 7.600 persone, è di nuovo dentro. La calamita criminale è stata troppo forte per un motivo o per l’altro e questi uomini hanno sprecato l’occasione per rientrare nel circuito della società. Dunque, lentamente ma non troppo si torna all’emergenza e al sovraffollamento denunciato un po’ da tutti, a partire dal Papa.

«Le cifre analizzate - spiega il consigliere nazionale del sindacato Aldo Di Giacomo - evidenziano un aumento della popolazione detenuta di mille unità al mese, la capienza massima di 43mila persone è stata superata a giugno 2007, con questo ritmo di crescita entro l’anno saremo di nuovo alla situazione di emergenza preindulto». Forse Di Giacomo è un po’ troppo pessimista, forse ci vorrà un periodo un po’ più lungo, ma la tendenza è quella. La popolazione carceraria è lontana, sempre più lontana, dal minimo storico dei 39mila detenuti postindulto, anzi per la precisione 38.847, e si avvicina alla quota pericolosa dei 60.710 di due anni fa.

Che didascalia scrivere sotto questa foto? «Non è corretto parlare di emergenza - riprende Di Giacomo - dato che sono vent’anni che i nostri istituti di pena sono in questa situazione». E lo scenario disegnato dal Sappe è inquietante. Presto chiuderanno una decina di strutture, e gli istituti nuovi arrivano, se arrivano, col contagocce. Risultato: alcune carceri sono a rischio ordine pubblico. Non solo: le prigioni, come le chiamavano una volta, sono contenitori stracolmi di dolore, sofferenza, disagi di tutti i tipi. I carcerati stranieri sono 18.253, pari al 38 per cento del totale - in testa alla poco invidiabile classifica i 3.647 marocchini, seguiti dai 2.725 romeni - il 62 per cento dei detenuti - secondo l’Eurisko - ha una patologia, il 28,3 per cento una malattia virale cronica, in primis l’epatite C, il 50 per cento è tossicodipendente, il 15 per cento sieropositivo. «Non a caso - riflette Di Giacomo - questa mancanza di dignità e di attenzione ha portato nel 2007 a un’incidenza molto alta di casi di suicidio». Fuori, invece, si registra un aumento progressivo dei reati - con un dato record di quasi 2 milioni e 800mila delitti l’anno - e un incremento parallelo del senso di insicurezza della popolazione.

Come si supera questo stato di cose? È partita da poco la sperimentazione di 400 braccialetti elettronici, dopo il fallimento della precedente campagna: in teoria questo strumento potrebbe essere applicato ai 30mila detenuti in attesa di giudizio.

Ma non si deve dimenticare che le persone sottoposte a misura diversa dalla carcerazione sono già 113mila. Una città intera che dev’essere controllata senza le sbarre. Per il momento, non resta che stipare i detenuti. E incrociare le dita.

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