Ci ha pensato quasi due giorni. Troppi almeno secondo la «Velina rossa», nota politica di simpatie dalemiane, che lunedì sera chiedeva il conto delle primarie a Filippo Penati. Di fronte al verdetto di domenica, con la vittoria del Vendola milanese Giuseppe Pisapia che ha stracciato con cinque punti di distanza il candidato del partito Stefano Boeri, «non è più possibile non chiedergli un atto di umiltà politica». Il capo della segreteria di Pierluigi Bersani ha raccolto il messaggio e ieri ha rassegnato le dimissioni dagli incarichi nazionali. Prima di lui lunedì lo avevano fatto i giovani dirigenti locali, Roberto Cornelli, Piefrancesco Majorino e Francesco La Forgia a rimettere le deleghe sul tavolo. Pesci piccoli, sussurrava nel partito chi aveva criticato dall’inizio il marchio del Pd sull’archistar. Penati aveva in mente di dimettersi lunedì, ma le telefonate da Roma lo invitavano a ripensarci e prendere tempo. Ieri, il mea culpa in una lettera a Bersani in cui ammette che «è necessaria una mia assunzione di responsabilità, io ho condiviso e sostenuto la scelta della direzione provinciale milanese di candidare Boeri alle primarie». Ora prosegue «bisogna superare rapidamente la pur doverosa fase di chiarimento che ci vede ancora una volta ripiegati su noi stessi e accettare l’esito della consultazione, senza rinviare la campagna elettorale per Pisapia che ci deve portare a sconfiggere le destre a Milano». Chiede di riconfermare la fiducia ai giovani dirigenti dimissionari, e puntualizza che il «dato che più ci preoccupa è la flessione del numero dei votanti, mette in luce la necessità di una rimotivazione del nostro elettorato che» lo ammette Penati «vive un momento di scoramento che è nostro dovere non sottovalutare». L’ennesima sconfitta per Penati, dopo quella del giugno 2009 quando da presidente in carica non era riuscito a tenersi in sella alla Provincia di Milano, riconsegnandola al centrodestra e al presidente Guido Podestà. Otto mesi fa ci ha riprovato come candidato al Pirellone contro Roberto Formigoni. Un altro flop. Per non parlare del grande obiettivo di diventare sindaco, rimasto nella sfera dei sogni. «Anche l’astro nascente del Pd milanese e lombardo getta la spugna e si accorge che il suo partito è giunto al capolinea, ha inanellato una serie di batoste non indifferenti - commenta il coordinatore provinciale del Pdl Romano La Russa -. Ora gli auguro un buon retiro nella sua Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d'Italia».
Dopo che aveva annunciato di rimettere il mandato di capogruppo in Comune invece, ieri il Pd milanese ha respinto all’unanimità le dimissioni di Majorino. Martedì il partito dovrà esprimersi anche su Cornelli e La Forgia, se l’assemblea invitasse i due dirigenti a lasciare l’incarico, anche Majorino lascia intendere che non esisterebbe ad abbandonare comunque la guida dei consiglieri comunali. Nel terremoto che sta scuotendo il Pd, è già guerra tra fazioni: chi è convinto che il mondo cattolico e moderato non possa riconoscersi in Pisapia, e spinge verso il terzo polo con Fli e Udc (e con l’ex sindaco Gabriele Albertini candidato) e chi legge nell’esito delle primarie un segno chiaro degli elettori, il centrosinistra deve svoltare a sinistra.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.