El Cid esce dalla leggenda e (ri)entra nella storia

Lo scrittore spagnolo Arturo Perez-Reverte in "Sidi" si misura con un mito della cultura iberica.

El Cid esce dalla leggenda e (ri)entra nella storia

Il lettore di Pérez-Reverte che conosce i racconti polizieschi e le avventure dei suoi libri, dove si intrecciano episodi di droga e corruzione con vicende d'amore ed eroismo, e che ha partecipato agli assalti temerari dello spadaccino Diego Alatriste, con il nuovo romanzo Sidi (Rizzoli, traduzione di Bruno Arpaia) rivive una storia di vita e morte, avvenuta nella penisola iberica agli inizi del secolo XI, sulla frontiera del fiume Duero, in terre abitate da musulmani e cristiani in lotta fra loro. È la nascita dell'epica nazionale, dove Rodrigo Díaz de Vivar, el Cid (Sidi, signore e capo in arabo, da cui il titolo del libro) è figura leggendaria che conquista fattorie e libera fortezze e presidi in mano agli arabi. Esiliato ingiustamente dal re Alfonso VI, a cui comunque resta fedele, l'eroe avanza, espugna villaggi e città abitate dai mori, come Valencia, ma si preoccupa anche per la moglie e le figlie che colloca al sicuro nel monastero di San Pedro de Cardeña: un personaggio, insomma, diverso dall'intrepido e affascinante Orlando della cavalleria francese. Di questo personaggio ed eroe epico, tutto coraggio, dignità e rettitudine, codificato dalla tradizione storico-letteraria, Pérez-Reverte offre una nuova immagine, un ritratto inedito, quello dell'uomo vissuto nel suo tempo.

Sidi è la storia di un territorio arido e ostile, abitato da mori, cristiani e mozarabes che si contendono, con improvvise incursioni seguite da orribili saccheggi, schiavi, donne, animali e bottino. È quanto ricorda - confessa Pérez-Reverte in una recente intervista - della sua lettura infantile del libro, lontana dalla retorica dell'eroe spagnolo, paladino della civiltà cristiana e precursore della vittoriosa crociata moderna fatta propria da Franco.

Il romanzo inizia con l'immagine del Cid che, dall'alto della collina, si ripara con una mano gli occhi dal riverbero del sole mentre guarda in lontananza i quarantadue uomini del seguito che attendono i suoi ordini. Il racconto, che si limita al primo anno dell'esilio del Cid, propone una scrittura semplice, idonea a rappresentare la sincronia delle lingue parlate nell'epoca, che mescolano arabo, castigliano, catalano, latino, arabo andaluso e nordafricano, insieme ad arcaismi propri del periodo. Dunque, nessun intento di scrivere una storia romanzata dell'epica del Cid, bensì di presentare un mondo in cui realtà e leggenda si fondono nella figura dell'eroe castigliano che fa rivivere le imprese del tempo, mostrando anche l'altra faccia della medaglia, il modello di vita e civiltà basato su soprusi e la violenze.

Proseguendo nella lettura ci si accorge come l'uso di un lessico fluido renda possibile la descrizione dei fatti e giustifichi, insieme a gesti di valore e coraggio, la violenza e la brutalità della lotta ideologica: ogni lettore può constatare come l'autore trasformi il racconto epico in un western di frontiera vissuto all'epoca della Conquista spagnola. Da cui i frequenti flashback, gli anticipi che infrangono l'unità temporale, rendendo vivi fatti e avvenimenti di un'epoca lontana; a cui si aggiunge la presenza di un fitto dialogo che salda voci dissonanti, rappresentate da interlocutori di diverse razze, lingue e religioni, con le quali il Sidi è costretto a comunicare. È il caso, nella parte finale del romanzo, dell'alleanza stabilita tra l'eroe castigliano e il re musulmano di Saragozza, interessati a sconfiggere un comune nemico.

A conclusione il romanzo, che se da una parte può suscitare la condanna dei difensori a oltranza del mito eroico della Spagna cristiana, dall'altra invita

il lettore a partecipare all'azione mescolando la sua voce a quella di tante altre presenze che, in un momento buio della storia e della civiltà umana, hanno lottato per l'affermazione della fede che era poi la loro vita.

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