Con Emma si può cambiare registro


(...) di Montezemolo un’eredità politica difficile e, per molti aspetti, contraddittoria. È stata, in particolare, l’ultima sparata di Montezemolo sui sindacati e sulla concertazione a passare nelle mani della nuova presidente un testimone infuocato. Bene hanno fatto i leader politici a sottolineare il ruolo dei grandi sindacati, ma male hanno fatto nel tacere quelle responsabilità comuni, e quindi pro-quota anche della Confindustria, che hanno trasformato in questi anni la concertazione in un nuovo modello di «governance» del Paese. Un errore politico e culturale frutto di una crescente debolezza delle classi dirigenti italiane che hanno immaginato di rispondere allo sfarinamento istituzionale e sociale del Paese con l’arroccamento dei protagonisti più visibili, e cioè le parti sociali e il governo. Insomma una sorta di «turris eburnea» sempre più inaccessibile quanto più forte diventava la debolezza di ciascuno e minore la sua rappresentatività politica, anche se confortata alcune volte da una consultazione della tradizionale base operaia. In questi quindici anni, infatti, grazie alle folli scelte istituzionali le maggioranze di governo sono sempre state minoranza nel Paese, così come la trasformazione sempre più individuale del lavoro dipendente ha ridotto la centralità della fabbrica, succhiando forza vitale ai sindacati, mentre la stessa Confindustria mal comprendeva le esigenze di quel mondo di piccole e medie imprese che sono la vera spina dorsale della nostra economia. Questa progressiva «riassunzione» di tutto lo scibile politico nell’affollato e vociante «cenacolo delle concertazioni» a Palazzo Chigi tra governo, sindacati e Confindustria ha estromesso finanche il Parlamento della Repubblica. Tanto per fare un esempio l’ultimo protocollo d’intesa tra governo e parti sociali sulle pensioni si è trasformato in un provvedimento di legge talmente blindato che le Camere hanno sì e no potuto discuterlo, ma senza poterlo in alcun modo emendare. Insomma, il «cenacolo della concertazione» come una terza Camera legislativa, anzi la prima e unica Camera legislativa cui deputati e senatori dovevano e dovrebbero sottostare. Un’involuzione democratica grave contro la quale nessuna voce si è levata, men che meno quella di Montezemolo. Quando a decidere le scelte del Paese sono esclusivamente quelli che ne rappresentano solo una parte, le intese finiscono per essere quasi sempre di basso profilo, e per tutelare i pochi (vedi la nuova riforma delle pensioni) a fronte di mille altre esigenze della società italiana. È stato questo, dunque, l’errore di fondo della concertazione che, così facendo, si è trasformata da una grande opportunità per tutti in una gabbia dorata per pochi, e quei pochi, a cominciare dai sindacati, si sono rapidamente invecchiati. Noi non cadiamo nell’errore opposto, e cioè quello di buttar via la concertazione tra le parti sociali e il governo come un vecchio arnese ormai desueto. La concertazione può avere, al contrario, ancora un ruolo importante, sempre quando si limiti a definire le grandi linee di intervento nei settori sociali ed economici senza avere la presunzione né di rappresentare l’universo mondo di una società complessa come quella italiana, né di scendere nel dettaglio legislativo, sostituendosi così alla sovranità popolare che deve restare nell’esclusiva responsabilità del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Una società ordinata richiede un sistema istituzionale governante e democratico, mentre la confusione dei ruoli ne mina l’efficienza e la rappresentatività.

Dopo la sbornia «concertazionista» di questi anni l’auspicio è che si ripristini quella sobrietà istituzionale tipica dei grandi Paesi per riprendere così la strada dello sviluppo, della coesione sociale e della democrazia. A Marcegaglia, dunque, l’onere di aiutare questo processo senza toni predicatori, ma con il sostegno di idee forti, privilegiando sempre la saggezza del dubbio, piuttosto che l’orgoglio delle certezze.
Geronimo

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