Roma «L’avevano proposto a mio fratello, Christian De Sica. Ma lui ha rifiutato. Ovviamente. Figuriamoci se Christian avrebbe osato scimmiottare, o peggio ancora competere, con la mirabile interpretazione di nostro padre». E così Il generale Della Rovere (rifacimento in fiction del celebre film del 1959 con Vittorio De Sica, regia di Roberto Rossellini) è passato a Pierfrancesco Favino. Ma le perplessità su questo temerario remake - il 9 e 10 ottobre su Raiuno - da parte di Manuel De Sica (primogenito del grande Vittorio, musicista e anima dell’Associazione consacrata al restauro dei capolavori del maestro del Neorealismo italiano) restano tutte.
«Il generale Della Rovere è un capolavoro - spiega Manuel -; il primo e unico film cui lavorarono assieme mio padre e Rossellini; il soggetto era di Indro Montanelli; fu la più grande interpretazione drammatica di De Sica; vinse il Leone d’Oro a Venezia, ex-aequo con La Grande Guerra. È un film d’arte, insomma. La fiction Rai, per quanto buona, sarà sempre una fiction. E la fiction non è arte. Buon artigianato, al massimo».
S'è stupito quando ha saputo che qualcuno avrebbe azzardato il confronto con De Sica e Rossellini?
«Ormai non mi stupisco più di nulla. Da qualche parte ho letto che rifaranno perfino Rocco e i suoi fratelli di Visconti, si figuri. Quello che mi sconcerta è: perchè gli autori di fiction non partoriscono idee proprie? Perchè vanno a scomodare i classici, che non andrebbero mai toccati, votandosi ad un confronto perso in partenza?».
Quindi è l’idea del rifacimento dei classici, che lei contesta?
«Ma certo! Il remake denuncia povertà d’ispirazione, mancanza di talento, di originalità, di creatività. Comodo, rubare le idee degli altri! D’altra parte non c’è da meravigliarsi: ora perfino Baricco, Eco e Camilleri annunciano che riscriveranno i classici della letteratura. Perchè invece non provano ad inventarsene uno loro, di classico?».
Che ne pensa di Favino, che eredita da suo padre il ruolo di Giovanni Bertone, truffatore che nella Roma del ’43 campa sfruttando le vittime dei nazisti, e muore da eroe fingendosi il partigiano generale Della Rovere?
«È un eccellente interprete, lo stimo molto. Forse un po’ troppo giovane per il personaggio... ma non è questo che conta. Quel che manca sono i copioni originali, le idee nuove. E di conseguenza i paragoni si fanno inevitabili. Questa fiction può anche essere un ottimo prodotto; e probabilmente lo sarà. Ma Favino non sarà mai De Sica. E il regista Carlo Carlei non sarà mai Rossellini».
Cosa le raccontava suo padre delle riprese del film del 1959?
«Ne era entusiasta. Sbalordì quando Roberto riuscì a montare tutta la pellicola in meno d’un mese, per farlo concorrere a Venezia. Come tutti gli attori tendenzialmente comici, papà sognava il grande ruolo drammatico. Di questo aveva paura. Anche se la figura dell’imbroglione seducente che piano piano si trasforma nell’eroe che finge di essere gli si attagliava come un guanto, sapeva di rischiare molto. Il risultato, però, fu tale da conquistargli l’ammirazione generale, di pubblico e critica».
E lei, che ricordi ha di quei giorni?
«Io ero un bambino, ma visitavo spesso il set durante le riprese. Nei week end, poi, papà portava me e Christian a Santa Marinella, nella villa dei Rossellini. E mentre noi ragazzini giocavamo con le gemelle Isabella e Ingrid, e con Robertino, loro due continuavano ancora a parlare del film. Fu una grande avventura, per entrambi».
Prevede il restauro della pellicola, come già altri titoli di suo padre, da parte dell’associazione “Amici di Vittorio De Sica” da lei guidata?
«Per ora no. Abbiamo appena ultimato il restauro digitale di Miracolo a Milano».
E il nuovo Generale Della Rovere lei lo
vedrà?«Se mi capita si. Se non altro per curiosità. In genere però io preferisco le fiction americane. Gli americani: quelli sì, che hanno idee originali! Ecco: nostri dovrebbero andare un po’ a scuola da loro».
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